Ho molto apprezzato l’intervento sul titolo effettuato da Annarosa Mattei, il richiamo all’imperterrito Bartebly fa luce sulla posizione di un soggetto riguardo al linguaggio: Anna lo dice chiaramente nell’evocare l’ipotetico “preferirei di no” come sicuro rifiuto dell’infans –senza parola- se venisse consultato nel suo voler entrare nel mondo dei sembianti (“se qualcuno le prospettasse la paura e la pena di vivere” vale a dire la perdita inaugurale, la scelta obbligata).
Reputo che il rifiuto sia in effetti il punto più enigmatico del film. Anche perché, come dice Anna, non si parla del Vaticano e quindi non è pensabile collocarlo nella storia dei Papi, come si potrebbe forse essere tentati di fare, riguardo al Grande Rifiuto di Papa Celestino V.
Melville è una creatura eminentemente paradigmatica, non riconducibile alla realtà storica dei Papi. Mi associo a questo lucido invito di Anna.
Un altro paragone mi era venuto in mente nel vedere questo stupendo film di Nanni Moretti, si tratta di un altro eccellente film che ricorderete di sicuro: il film di Tom Hooper intitolato The King’s Speech, Il Discorso del Re. In effetti Hooper ci poneva anche lui di fronte al No. Di fronte al rifiuto della funzione a cui la Storia chiama soggetti destinati a farla, la Storia. Cosi come il Re non vuole essere Re, il Papa Melville non vuole essere Papa. Ma, a differenza di Giorgio, che tramite la sua balbuzie rende impossibile il dare voce al Re, che invece sa di dover essere, il Papa Melville resta inerme di fronte all’impossibile- reale nomina. In effetti lui non dice No, la voce lo sovrasta, è un urlo che lo lascia fuori campo finché non arriverà parola. E’ alla ricerca di quella parola che si lancia nei vicoli di Roma. Non prima di ascoltare pressoché infans il famoso psicoanalista che invece declinerà il suo compito per inviarlo dalla moglie, anche lei psicoanalista. In effetti, se il Re potrà fare del rifiuto un sintomo, con l’aiuto di uno stravagante quanto ottimo logopedista, il Pontefice non sa cosa farsene di questo urlo. A proposito del divertentissimo psicoanalista, possiamo ben cogliere che anche lui ha ceduto nel suo desiderio di fare l’allenatore di pallavolo. Purtroppo per la psicoanalisi, quel desiderio non si è mutato in quello di analista; ma niente da lamentare, lui riuscirà a mettere in gioco niente meno che i deliziosi Cardinali con una memorabile partita, per molti la scena più riuscita del film. In ogni caso l’analista allenatore potrà vivere la sua passione con grande bravura e non senza il fallimento, al ritiro dei giocatori.
Così, per quanto riguarda il nostro perplesso Papa Melville, la parola si metterà in funzione negli incontri contingenti che lo aspettano dietro l’angolo nella suo piccola fuga. La venditrice di scarpe, il pasticcere, il passeggero sul tram, i teatranti. Tutti in posizione di docili “interlocutori” atti ad incarnare l’oggetto e fare posto al Soggetto qualunque, quello che, Lacan insegna, può fungere da soggetto supposto al sapere inconscio. Ecco che vediamo venire fuori la sua grinta attaccando il furor curandis dell’Altro in posizione di voler aiutarlo; la propria rabbia nel saper di non sapere cosa ha; la sua ricerca di un qualche sapere (mettendo alla prova la teoria della disperata e dolce analista) e finalmente il proprio desiderio addormentato nel fallimento dell’attore che voleva essere e che finì eclissato nella bravura della sorella. In ogni caso, il suo sapere di aver ceduto quel posto risparmiandone il rischio, viene a galla. La scena nella scena de Il gabbiano di Cechov funge come “istante di vedere” e da cornice all’angoscia. Sa di non osare, ecco la sua divisione. Da lì in poi Melville inizia il rientro dalla fuga, che culminerà nel ritornare per indossare le vesti papali, rientrare nel personaggio e recitare la sua parte, questa volta in uso della parola.
Ecco perché rimane enigmatico il finale. E’ un No a rispondere alla domanda di ciò che tutti si aspettano? E’ un No ad incarnare l’Uno al posto del comando? ha capito Papa Melville che il nuovo ordine simbolico pone un ordine che non rientra nella struttura e persino la Chiesa, esperta di Simbolico, ne soffre, nel non sapere più come collocarsi per dare un senso e guidare le anime? E’ un No che mentendo dice la verità? Ecco il prezioso dono del film di Moretti, finale aperto là dove ci aspettiamo l’ultima certezza.
Laura Cecilia Rizzo
]]>