Commenti a: Raffaele Simone sull'uso dell'inglese all'Università https://www.annarosamattei.com/?p=852 La passione di leggere e scrivere Sat, 26 Nov 2022 19:57:54 +0000 hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-128 Fri, 19 Oct 2012 08:28:23 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-128 A me sembra di essere stato chiaro: studiare storia dell’arte rinascimentale o storia della letteratura italiana in inglese ha poco senso, perché gran parte della letteratura scientifica su quegli argomenti è in italiano. Per le materie studiate al Politecnico di Milano non è assolutamente così.
Nemmeno per linguistica o psicologia, onestamente (e quindi non è necessariamente questione di natura umanistica o scientifica delle discipline; semmai dipende dal loro carattere “locale” o meno).

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Di: Paola https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-127 Sun, 23 Sep 2012 09:20:18 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-127 Caro/a Magar, non vorrei essere fraintesa: quando parlo di impoverimento del pensiero non mi riferisco al contenuto, ma ai mille modi per esprimerlo. Ogni sinonimo di una parola contiene una sfumatura che stimola nell’interlocutore un pensiero derivato e per conoscere molti sinonimi bisogna praticare la lingua intensamente. Tu sei in ambito scientifico e non vorrei che si creasse una contrapposizione tra scienza e umanistica, che già dialogano troppo poco tra loro, a causa della reciproca ignoranza. Personalmente mi occupo di una disciplina umanistica che si basa sulla scienza, il restauro delle opere d’arte, perciò mi “vanto” di conoscere le ragioni sia dell’una che dell’altra. In tutti i campi vi sono dei linguaggi tecnici che trovano la loro espressione più diretta in una lingua: archeologia – tedesco, arte e canto – italiano, materie scientifiche -inglese, pertanto, se a me potrebbe far ridere una lezione d’arte in inglese, non rinnego, tuttavia, la libertà dell’autore di usare la propria lingua, dato che è quella nella quale si esprime meglio, nè, del resto, pretendo che tutte le lezioni di arte in America si svolgano in italiano. Il punto per me è un altro: ognuno faccia i suoi studi nella lingua madre ed in contemporanea studi una o più lingue in maniera seria, in modo da accedere ad altre realtà di conoscenza. Mi domando perché in Olanda, in Germania studiano l’inglese a scuola e diventano praticamente bilingui ed in Italia non si supera mai il primo livello: tu potresti rispondermi che un modo per imparare una lingua è proprio quello di farci le lezioni: ma che senso ha studiare la storia italiana in inglese? Ha senso per me studiare entrambe le cose

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Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-126 Sat, 22 Sep 2012 13:48:45 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-126 Cara Annarosa, sì, l’inglese “impreciso” che quei docenti usavano era più che sufficiente a veicolare con precisione le informazioni che si volevano trasmettere, quindi sono stato contento di imparare così, in compagnia di ottimi studenti di tutto il mondo. La pronuncia non sarà stata buona per leggere il notiziario della BBC, la loro sintassi non avrà fatto entrare quelle lezioni nei manuali di retorica, ma lo scopo dell’attività didattica è stato pienamente raggiunto.

Paola, ti garantisco che, almeno in ambito tecnico-scientifico, girare le spalle agli studenti stranieri “impoverisce il pensiero” molto di più della sostituzione di una proposizione subordinata con una coordinata. “A topological space X is called a locally compact space if for every x ∈ X there exists a neighbourhood U of the point x such that cl(U) is a compact subspace of X.” si capisce bene anche se non è prosa né di Tacito né di Cicerone, e non impoverisce il pensiero di nessuno.

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Di: Paola https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-125 Wed, 19 Sep 2012 20:17:29 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-125 Non sono affatto poliglotta, me la cavo abbastanza bene con l’inglese quando ho l’opportunità di farlo, ma anche se è certamente la lingua più parlata negli alberghi, non lo è nella vita quotidiana di tanti paesi. Credo nella necessità di imparare l’inglese, se non altro per capire l’italiano (welfare, trend, spending rewiew, cool vengono usate continuamente). Il problema è nell’utilizzo dell’inglese come lingua corrente per chi studia: un lingua non padroneggiata come la lingua madre, non fa che impoverire il pensiero e questo non lo augurerei a nessun giovane che approccia agli strumenti del proprio futuro. La mia non è la difesa ossessiva dell’italiano per campanilismo, ma per non atrofizzare una lingua, tra le più antiche e più ricche, e relegarla alla sola tradizione orale o alla consuetudine quotidiana. Io credo che si debba insegnare in italiano ed imparare inglese, tedesco, portoghese, spagnolo, cinese, e quanto altro di più di può imparare

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Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-123 Sun, 16 Sep 2012 16:26:52 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-123 Paola, buon per te che sei poliglotta e sei in grado di parlare fluentemente (e a scopi professionali) portoghese, cinese, giapponese e russo. Quel poco di giapponese che recentemente mi sono divertito ad imparare mi porta poco più in là di “vorrei bere un caffè” (orale, non scritto – non in kanji, almeno)…

La maggior parte di chi deve comunicare con persone di svariati paesi del globo, tuttavia, stranamente reputa più pratico imparare a padroneggiare una sola lingua, e dedicare il resto del tempo al nocciolo del proprio lavoro. Magari in un futuro non lontano questa lingua “universale de facto” sarà il cinese, ma al momento attuale è l’inglese ad avere questo ruolo.

Le lezioni di matematica in inglese a cui ho assistito io non saranno state uno spettacolo di ortoepia, ma hanno fatto il loro sporco lavoro di trasmettere sapere a italiani, iraniani, indiani e vietnamiti assieme.

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Di: Paola https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-122 Wed, 12 Sep 2012 18:08:10 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-122 Sono stata in Brasile e dell’inglese non ho saputo che farmene, sono stata in Giappone e dell’inglese non ho saputo che farmene, sono stata in Cina e dell’inglese non ho saputo che farmene, sono stata in Russia ed anche lì ho cercato di dire qualche parola nella lingua locale: ho citato quattro potenze, due delle quali hanno in mano forse il futuro del pianeta. L’inglese come strumento per comprendersi, va bene, ma non sarebbe meglio imparare lo spagnolo che è la lingua più parlata nel mondo? o il tedesco per capire qualcosa di archeologia o il cinese per capire il futuro? Allo stato delle cose, per come gli italiani conoscono l’inglese, presumo che alle lezioni, tra professori e studenti, ci sarebbe da sbellicarsi dal ridere: forse sarebbe meglio che nella scuola italiana si insegnasse la lingua con risultati più proficui.

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Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-121 Wed, 12 Sep 2012 07:57:52 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-121 Questione di gusti, io trovo assurdo NON cancellare il sapere umanistico dall’orizzonte di un dibattito che verte su una decisione presa dal Politecnico di Milano…

Sono poche le discipline in cui l’italiano può vantare di essere parlato dagli specialisti di tutto il mondo. Storia della letteratura italiana, storia dell’arte (per via dell’arte italiana dei secoli passati), forse le lettere antiche, magari pure archeologia (romana). Per tutto quello che non ha direttamente a che fare con il passato del Belpaese, si può tranquillamente usare la lingua franca internazionale, per rimanere in contatto con con il resto del pianeta Terra.

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Di: Giampaolo https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-120 Wed, 12 Sep 2012 07:29:17 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-120 Quando al cuoco di Luigi XIV fu chiesto insistentemente di rivelare come faceva la splendida salsa chiamata maionese, rispose:”Ma è semplicissima, basta mettere insieme olio uovo e limone….”.Naturalmente nessuno riuscì a rifarla.
Non basta un elenco di ingredienti, occorrono tecnica e storia: un elenco di ingredienti non può trasformare quella italiana in una scuola moderna e aperta a tutti (anche a chi la frequenta per impararlo, e non sa già l’inglese…)
Al di là di quanto inutilmente livoroso appare nelle difese apodittiche dell’inglese come lingua universale, io non mi indigno se alcuni corsi SUPERIORI(già ora alla Sapienza a Roma alcuni dottorati in Economia, pensati e strutturati in interscambio con università indiane e statunitensi) sono in inglese:è vero che la maggioranza dei testi di consultazione e studio sono in Inglese.Trovo però francamente insensato e nutrito di albagioso ideologismo il ritenere che le scuole in inglese siano da preferirsi alle scuole in italiano. Innanzi tutti si fa offesa al’0inglese, che è una lingua ricca e mutevole, e diversa a seconda che si parli in Inghilterra, o in Scozia o in Irlanda o in Olanda(seconda lingua) o negli Stati Uniti, o in Australia(provare per credere).In secondo luogo è davvero strano dover ricordare che specialmente in campi come l’arte visiva o la letteratura (non parliamo della Musica, che OBBLIGA tutti i musicisti del mondo a imparare l’italiano- pianissimo, rinforzando, allegro adagio ecc.) la forma sia inscindibile con la sostanza: credo che potrei dipingere il Giudizio Universale, come sostanza,come contenuto, ma ahimé credo che la forma sarebbe irrimediabilmente carente. In letteratura poi è evidente che posso anche io trattare dell’Infinito ma il Recanatese ha usato una forma linguistica che solo lui poteva usare. La lingua è memoria, sociale e personale, e dunque è futuro, sociale e personale.Già Tolstoj in Guerra e pace(che comincia con lunghe frasi in francese, a dimostrare la perdita di identità delle altezzose classi dirigenti) riteneva che la lingua madre si chiamasse così prorpio in quanto madre, entità che ci ha partorito e continuerà a seguirci negli anni, anche quando ci saremo staccati definitivamnente da lei. Se solo si conoscesse e studiasse di più l’italiano la nostra letteratura sarebbe meno provincialmente legata a Hemingwaysmi di ritorno, con frasi brevi e senza subordinate, intercalate da espressioni triviali a fingere naturalezza e quotidianità.
La lingua, come organo del gusto e strumento della parola, è dentro di noi, e una delle torture feroci di secoli passati, e purtoppo in certe parti del mondo ancora presenti, era proprio l’estirparla……..

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Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-118 Mon, 10 Sep 2012 19:07:29 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-118 a) E il docente specialista di materie tecnico-scientifiche del Politecnico di Milano cosa fa, quando scopre che metà dei libri della biblioteca del suo dipartimento è scritta in inglese? Che le bibliografie delle tesi dei suoi studenti sono composte all’80% da titoli inglesi? Si suicida? Dà metà del proprio stipendio ad un interprete/traduttore che lo segua come un’ombra?

b) Impoverimento? Quali altezze vertiginose della consecutio temporum si crede che si debbano toccare, per spiegare chiaramente, poniamo, la “Caratterizzazione fotometrica di dispositivi di illuminazione e materiali“? Quali competenze linguistiche (che non gli siano già indispensabili per leggere le migliori riviste scientifiche della sua disciplina) mancano, al docente italico di architettura o ingegneria, per tenere una lezione accettabile in inglese?

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Di: Magar https://www.annarosamattei.com/?p=852#comment-116 Sun, 09 Sep 2012 14:39:26 +0000 http://www.annarosamattei.it/?p=852#comment-116 No, non vedo, tra il manuale di istruzioni della lavastoviglie e la lezione universitaria, differenze ontologiche tali da rendere “culturalmente devastante” l’uso dell’inglese – magari inizialmente in una forma imperfetta e sgraziata, ma efficace – nel secondo caso.

Si tratta sempre di comunicare efficientemente un sapere (tecnico, nel caso del Politecnico di Milano, e della lavastoviglie) ad una platea che si vuole più vasta ed internazionale possibile.
Platea che altrimenti può optare per la concorrenza, ché i brillanti studenti cinesi, indiani, etc. (e i brillanti professori tedeschi, statunitensi, svedesi etc.) non sono affatto obbligati a scegliere l’Italia come meta – o ad acquistare la lavastoviglie con le istruzioni solo in italiano…

P.S. A proposito dell’italiano “molto ricercato all’estero” secondo De Simone: me le immagino proprio, queste folle di ingegneri dell’Andhra Pradesh e di matematici del Guangdong che fanno a pugni pur di partecipare ad un corso di italiano! Il Fiume delle Perle e il Golfo del Bengala si tingono di sangue, in nome della lingua del Belpaese…

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