La vicenda dei restauri del Colosseo fila liscia come l’olio nella comunicazione della stampa: tutti plaudono alla meravigliosa iniziativa. Vittorio Emiliani sembra essere l’unica voce critica. Ve la ripropongo direttamente dal giornale l’Unità, che oggi – 11/7/2011 – trovate in edicola.
Un contratto di sponsorizzazione per 15 anni e il logo della Tod’s sui biglietti d’ingresso…
Il Colosseo? Ora è un marchio – Assalto dei privati alla cultura
di Vittorio Emiliani
Il caso Della Valle-Colosseo. Esempio emblematico di un modello: l’ingresso in forze dei privati nei beni culturali? Un po’ di milioni versati a fronte di «esclusive» pluriennali per l’utilizzo fotografico, tv, commerciale.
Claudio Lotito ha parlato chiaro: il Colosseo sarà il nuovo marchio della sua Polisportiva Lazio. Temo che Lotito non legga molto i giornali. Un suo diretto concorrente, il patron della Fiorentina Diego Della Valle, re delle scarpe, lo ha largamente preceduto stringendo col commissario straordinario (eterno?) all’archeologia di Roma e di Ostia, Roberto Cecchi, un contratto di sponsorizzazione, che riserva per quindici anni il marchio del Colosseo a lui. Che, inoltre, potrà stampigliare il proprio logo aziendale sugli oltre 5 milioni di biglietti annuali. In quindici anni, coi prevedibili incrementi, 80-90 milioni. Souvenir che andranno in tutto il mondo. Il marchio Tod’s campeggerà pure sui tendoni di 2 metri e 40 che nasconderanno i restauri, non brevi. A fronte di 25 milioni di euro, il Ministero apparecchia una ricco set di ritorni pubblicitari.
Della Valle, alla conferenza-stampa, è stato molto corretto: «Noi non facciamo beneficenza». Cioè questa non è una donazione liberale. Poi – forse per l’assenza quasi totale di rilievi critici sulla convenzione genuflessa predisposta dal MiBAC – è montata l’euforia.
Al convegno organizzato in materia al Teatro Argentina la responsabile di Confculture (Confindustria), Patrizia Asproni, è partita bene: «Noi siamo imprenditori e vogliamo fare profitti. Della Valle prima investiva nello sport, ora nel Colosseo. Lo sport non ha più appeal a causa della corruzione e del doping». Poi ha calato l’asso di bastoni: «Sono stanca del Ministero per i Beni e le Attività culturali. Non ne abbiamo più bisogno. Il patrimonio culturale del Paese deve entrare nella competenza del Ministero dello sviluppo economico». Insomma, è la redditività dei beni culturali a dettare l’agenda. Non più la ricerca: scientifica, artistica, archeologica. Non più il valore «in sé e per sé» della cultura. I professori studino pure; priorità e usi spettano al profitto. E la tutela del patrimonio? Un bel fastidio, oggettivamente. Roba da «talebani della tutela», come disse Andrea Carandini nel sostituire (in 4’) Salvatore Settis, dimissionario, alla presidenza del Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
L’operazione-Colosseo come modello per l’ingresso in forze dei privati nei beni culturali? Un po’ di milioni versati a fronte di «esclusive» pluriennali per l’utilizzo fotografico, televisivo, commerciale, ecc. In qualche caso – vedi Palazzo delle Esposizioni e Scuderie del Quirinale (ne ha parlato pochi giorni fa il Corriere della Sera nella pagine romane) – si accenna a far gestire a privati quegli spazi pubblici restaurati con ingenti fondi statali e comunali, Per sdemanializzarli e rinsanguare le esauste casse municipali? Forse. Riecco due spettri: a) la Patrimonio SpA di Tremonti creata per dismettere edifici pubblici anche di pregio storico; b) la privatizzazione dei musei avanzata da Giuliano Urbani, sommerso dall’unanime sollevazione dei direttori di musei del mondo intero.
Della Valle aggiunge: «Speriamo di dare presto notizie concrete di restauri anche a Pompei, Venezia, dove bisogna pensare al Canal Grande, e di un grande intervento anche a Firenze. Voglio fare un bel regalo al sindaco Renzi». Sino a ieri la famiglia era molto interessata al business del nuovo Stadio, condizione essenziale per tenersi la Fiorentina, e già sull’area prescelta s’erano accese fiere polemiche.
Aspettiamo e vediamo ‘sto regalo. In questi giorni è riemersa una parola magica: mecenatismo. Qui bisogna chiarirsi le idee: queste sono sponsorizzazioni con un chiaro profitto privato sotto forma di ritorno di immagine; il mecenatismo è altra cosa. Lo si può capire con una gita ad Ercolano. Qui opera da anni la donazione di David W. Packard, dell’omonimo gigante dell’informatica. Che, in silenzio, finanzia, attraverso la Packard Humanities Institute, manutenzione ordinaria e straordinaria di quel magnifico sito, sulla base di un’intesa progettuale con l’ottimo soprintendente del tempo, Piero Guzzo (lo stesso messo in croce a Pompei da un commissariamento che ha stravolto il grande teatro romano, ed ora in pensione).
Sono state ripristinate le fogne e le canalizzazioni della città antica. Packard – come ha scritto Francesco Erbani su Repubblica – è il figlio del fondatore dell’azienda, viene da studi classici e si è fidato in pieno degli archeologi a cominciare da Guzzo, lavorando con loro (e non con pretesi manager) a sbrogliare l’intrico burocratico al fine di riparare subito i danni, sempre gravi nelle città antiche, prodotti dalle acque piovane che ruscellano dai tetti, o dal guano dei piccioni, oppure dagli scarichi intasati sottoterra da materiali remoti.
È stato messo norma l’impianto elettrico dando ad Ercolano una efficiente illuminazione notturna. Senza contropartite? Esatto. Questo si chiama mecenatismo.
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