A fine luglio era uscita questa lettera di Jacqueline Risset, che avevo omesso di riportare, a proposito degli onerosi e fantascientifici interventi cementizi sulla Domus Aurea. Facciamo tutti grande attenzione. La città sarebbe dei cittadini se solo desiderassero davvero riappropiarsene impedendo inutili scempi.
Domus Aurea da salvare senza distruggere Colle Oppio
la REPUBBLICA – 30 luglio 2011 — pagina 1 sezione: ROMA
CARO direttore, “via i giardini di Colle Oppio”. Parole perentorie che sui giornali annunciano il progetto “Salvare la Domus Aurea”. Salvare la Domus Aurea. Non si può non esser d’ accordo. Troppi anni di attesee chiusure ci hanno privati della visione di quanto resta della famosa, splendida, fastosa – aurea appunto – dimora di Nerone sui fianchi del colle Oppio. Ma a quale prezzo? Perché un così nobile proposito dovrebbe distruggere uno dei luoghi più ameni, più amati, più incantevoli di Roma, il parco di Colle Oppio? Dicono, per liberare la Domus dalle tonnellate di terra che la sovrastano e la minacciano sempre di più. Bene. Ma quelle tonnellate di terra non sono state portate lì per iniziativa di un giardiniere qualsiasi. Quei giardini sono stati voluti come parco pubblico nel 1871, dopo l’ Unità d’ Italia, come raccordo geniale tra la grande architettura di piazza Vittorio Emanuele II, allora in corso di realizzazione, e la mole sovrana del Colosseo.E in realtà la terra era stata messa sopra la casa di Nerone alla fine del primo secolo dopo Cristo dall’ imperatore Traiano, quando era già stata quasi interamente distrutta da incendi e traversie varie, per creare un nuovo complesso di terme (proprio quella terra ha preservato quanto restava della Domus Aurea, fino alle famose incursioni dei pittori del Rinascimento, e fino ai noi). OGGI, da abitanti del quartiere, da romani (anche di adozione, come nel mio caso), e da studiosi, ci si deve interrogare sulle conseguenze della imminente e immane rimozione annunciata. Siamo certi che l’ asportazione, in area collinare, di una massa stratificata e bimillenaria di tale portata, sia priva di gravi conseguenze? Lo stesso progetto le ammette perché implica la cancellazione del parco attuale che è esso stesso patrimonio artistico di Roma, e che serve una vasta comunità di cittadini. E allora cosa accadrà della splendida vegetazione (pini centenari, palme, eucalipti, lecci, cipressi, oleandri, bougainville)? Che sarà del magnifico decoro attuale (fontane, bacini, scalinate, sentieri, statue)? E che fine farà il piccolo caffè di legno verde che da decenni rallegra la vita dei quartieri Esquilino e Monti? Dove andranno le miriadi di ospiti quotidiani (madri, padri, bambini, sportivi, lettori, flâneurs)? Tutti cacciati senza indugio, senza consultazione alcuna, quando la sensibilità della società civile chiede più partecipazionee condivisione?I referendum recenti non insegnano nulla? L’ inizio dei lavori, enormi, lunghissimi, costosissimi, è stato fissato ora – in tempo di vacanze – per il mese di settembre. Perché tanta fretta dopo due millenni? La Domus, certo, va salvata. Ma – come già alcuni dall’ interno del progetto sembrano ritenere – occorrono interventi meno invasivi, meno cruenti, che non distruggano questo pezzo pregiato della storia d’ Italia, i giardini di Colle Oppio. È quanto avverrà con lo svuotamento dei terrapieni, con la creazione di un “museo sospeso”(?), con l’ allestimento di scale metalliche su tutto il colle e cosi’ di seguito… Intanto, se si vogliono alleggerire le tonnellate che pesano sul colle Oppio, perché non cominciare subito da quelle altre tonnellate delle decine di pullman turistici che quotidianamente, sempre in manovra e in parcheggio nel parco, turbano ben più pericolosamente la vita della gente e della domus? Ma, ammettendo che tutti i fondi siano disponibili, che siano spesi bene, e che tra molti anni ci venga mostrata una Domus restaurata, potrà mai essere quella aurea dei tempi andati? O non piuttosto ci troveremo davanti ad un oggetto virtuale, per il quale sarà stata eliminata una realtà viva? Una storia uccide l’ altra? – JACQUELINE RISSET
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