IL GIORNALE DELL’ARTE – OTTOBRE 2013<\/strong><\/p>\n
Racconti di crimini artistici e altro di Fabrizio Lemme Professore di Diritto penale dell\u2019economia, Universit\u00e0 di Siena
\nL’Avvocato dell’arte<\/p>\n
Mi \u00e8 mancato un santo patrono (il potere inteso come impedire di fare)<\/strong>
\nRimosso dal Polo Museale romano, Claudio Strinati \u00e8 un caso evidente di cattivo utilizzo delle risorse umane da parte dell\u2019Amministrazione dei Beni culturali<\/em><\/p>\n
Come \u00e8 noto, nel bilancio delle societ\u00e0 che gestiscono le squadre di calcio \u00e8 possibile inserire, tra le poste attive, il cosiddetto \u00abmonte giocatori\u00bb, vale a dire il valore complessivo di cessione dei cartellini dei giocatori tesserati, che \u00e8 proporzionale al loro rendimento nel campionato di calcio. Al fine di esaltare tale posta attiva, le societ\u00e0 adottano un\u2019accorta politica di valorizzazione delle competenze specifiche acquisite sul campo dai giocatori.
\nL\u2019amministrazione dei Beni culturali opera invece esattamente al contrario: deprime o comunque non valorizza le competenze specifiche acquisite dai singoli funzionari.
\nQuesto vale non solo con riferimento alla collocazione degli stessi in pensione: purtroppo, la legge del pensionamento non consente di trattenere in servizio, oltre l\u2019et\u00e0, dirigenti che abbiano mostrato una perfetta padronanza del settore loro affidato. Mi riferisco, in particolare, ai casi di Andrea Emiliani e di Nicola Spinosa, altissimi conoscitori dell\u2019arte emiliana e di quella napoletana, che hanno dovuto lasciare, rispettivamente le Soprintendenze di Bologna e di Napoli, per sopraggiunti limiti di et\u00e0 (nel caso di Andrea Emiliani, peraltro, indovinata la nomina di Luigi Ficacci). Una situazione analoga si \u00e8 riprodotta a Roma, con il collocamento a riposo della direttrice della Galleria Nazionale di Arte Antica in Palazzo Barberini Anna Lo Bianco, al momento non ancora sostituita. Pure, esistevano strumenti per non disperdere il valore intellettuale di tali competenze, quali contratti di consulenza o altro. Ma ancora pi\u00f9 paradossale \u00e8 che questa situazione si sia verificata anche a carico di funzionari \u00abin servizio permanente effettivo\u00bb, come si potrebbe dire parafrasando il linguaggio militare (\u00abin spe\u00bb).
\nMi riferisco, in proposito, alla situazione di Claudio Strinati, che, come soprintendente del Polo Museale romano, aveva mostrato appieno un\u2019alta padronanza della cultura figurativa romana, alla quale aveva dedicato le sue ricerche fin dagli anni giovanili, con i suoi studi sul Cinquecento, per esempio su Cesare Nebbia, pittore del tardo Manierismo romano. Mentre era ancora \u00abin spe\u00bb Claudio Strinati, in maniera del tutto inopinata, \u00e8 stato rimosso dalle sue funzioni e nominato dirigente generale di staff al Ministero dei Beni culturali: attivit\u00e0 che, parafrasando il diritto pubblico inglese, poteva chiamarsi \u00abcorporation sole\u00bb, visto che era composta solo dal dirigente, sprovvisto di qualsiasi infrastruttura e condannato a non far niente! Ora Strinati \u00e8 stato posto a riposo, ma la sua risposta ad alcune domande mi sembra sia di estremo interesse per mostrare ai nostri lettori a quali perversioni possa condurre la lotta del potere nell\u2019Amministrazione dei Beni culturali.
\nProfessor Strinati, ci conosciamo da quasi quarant\u2019anni, ossia da quando, nel 1976, eraun giovane e valente ispettore dell\u2019Amministrazione dei Beni culturali, apprezzato da Federico Zeri, Giuliano Briganti e Italo Faldi. Pu\u00f2 illustrare a grandi linee quali sono stati i principali impegni durante la sua soprintendenza romana?<\/strong>
\nCredo di aver raggiunto qualche ottimo risultato dal punto di vista amministrativo. Ho riaperto la Galleria Borghese che era, sia pure in parte, chiusa da anni, grazie alla determinazione di Veltroni, all\u2019epoca ministro per i Beni culturali e vicepresidente del Consiglio. Ho trovato la soluzione al problema del Circolo Ufficiali a Palazzo Bar- berini, che si trascinava da tempo immemorabile, senza mortificare il Circolo stesso ma realizzando lo scopo che la Soprintendenza voleva da tempo raggiungere e cio\u00e8 creare finalmente la Galleria Nazionale d\u2019Arte Antica.<\/em>
\n Inoltre credo di avere fatto una politica culturale dotata di caratteri chiari e riconoscibili. Penso, per esempio, al ciclo di mostre volte a una ricostruzione organica del Seicento romano, cominciata con Domenichino e proseguita con Caravaggio, Annibale Carracci, Lanfranco, Pietro da Cortona, Guercino, Orazio e Artemisia Gentileschi, Tassi, Preti, Cozza, Algardi, Bernini, Vanvitelli, fino alla notevole manifestazione detta \u00abIl genio di Roma\u00bb. Spesso ho curato mostre in prima persona (in particolare, in quanto esperto di Cinquecento, quella memorabile su Sebastiano del Piombo tenutasi in Palazzo Venezia nel 2008), ma altrettanto spesso ho voluto che i curatori fossero, di volta in volta, gli esperti massimi della materia. Ho lavorato molto nel settore espositivo spaziando dal Medioevo al Novecento. Proprio su questo punto ho ricevuto le critiche pi\u00f9 velenose. Malgrado abbia anche fatto delle cose significative sul Novecento, tra cui la mostra di Manz\u00f9 che fu universalmente lodata, e varie manifestazioni sulla Scuola romana, come quelle dedicate a Pirandello, Mafai, Afro, la Rapha\u00ebl ecc., mi hanno accusato di avere ospitato nel corso degli anni troppi artisti viventi, talvolta giudicati mediocri da alcuni settori della critica. Debbo ricordare, a tal proposito, che con l\u2019accoglimento di tante di queste piccole manifestazioni, fatte nella sala del refettorio al piano terreno di Palazzo Venezia, ho raccolto parecchi fondi utili alla vita dell\u2019ufficio, senza peraltro mai toccare gli spazi espositivi maggiori e senza mai sovrappormi alle attivit\u00e0 delle Soprintendenze preposte al contemporaneo, ma solo facendo un po\u2019 di attivit\u00e0 minore. Qualche manifestazione pu\u00f2 essere stata di scarsa rilevanza, ma dico pure che, tra i tanti artisti esposti, non sono mancate personalit\u00e0 interessanti, alcune delle quali sono poi emerse a livello sia nazionale sia internazionale. Subito dopo la mia rimozione dall\u2019incarico di soprintendente alcuni giornalisti hanno avallato la tesi, con interviste mirate allo scopo e fatte alla stessa Rossella Vodret, in base a cui sarei stato rimosso proprio per questo motivo. Ribadisco, invece, che amministrativamente parlando, quelle manifestazioni hanno arrecato addirittura un lecito profitto e quindi un giovamento al bilancio del Polo Museale (che al termine della mia gestione era, infatti, a posto), senza minimamente comprometterne l\u2019immagine e la dignit\u00e0. Ritengo che i responsabili ministeriali di allora fossero a corto di argomenti per giustificare la mia rimozione, ma sentissero la necessit\u00e0 di trovarne biasimando qualcosa. Pochi giorni dopo queste aggressioni, la stessa Vodret si rimangi\u00f2 quelle spiacevoli dichiarazioni. Ma tornando alle mostre sull\u2019antico, ho proposto anche modelli di nuova impostazione, come per quella di Sisto V a Palazzo Venezia promossa da Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, una delle pi\u00f9 importanti esposizioni sul Manierismo mai realizzate; oppure per la mostra del Settecento romano (sempre a Palazzo Venezia); o per quella del Quattrocento romano (al Museo del Corso grazie alla proposta progettuale del professor Emanuele): tutte iniziative con cui ho sempre cercato di rendere omaggio a chi mi aveva preceduto, aprendo al contempo nuovi ambiti di ricerca. Forte di queste esperienze, vorrei ricordare di avere concepito e progettato io la mostra commemorativa del quarto centenario della morte di Caravaggio tenutasi alle Scuderie del Quirinale, uno dei pi\u00f9 grandi successi in questo campo nella storia del nostro Paese. Di quell\u2019esposizione, strettamente legata anche alla mia funzione di soprintendente, non fui curatore perch\u00e9, essendo diventata soprintendente Rossella Vodret qualche mese prima dell\u2019inaugurazione (avvenuta a febbraio del 2010), chiesi io stesso al presidente delle Scuderie Emmanuele Emanuele che ne fossero i curatori lei e Francesco Buranelli, il quale aveva dato un notevole contributo alla sua realizzazione.<\/em>
\n Poi ho fatto molte campagne di catalogazione e restauro, tutte notevoli, indubbiamente aiutato in gran parte dai fondi straordinari per il Giubileo. Una per tutte, la Chiesa del Ges\u00f9 con gli affreschi del Baciccio, una meraviglia incomparabile che mi pare meritevole aver conservato cos\u00ec bene.<\/em>
\nQuali ragioni hanno motivato la sua rimozione dall\u2019incarico di soprintendente al Polo Museale romano e la destinazione a una dirigenza generale di staff?<\/strong>
\nPer essere giusti, io stesso avevo ripetutamente sostenuto che sarebbe stato opportuno che lasciassi il posto di soprintendente per svolgere altre funzioni, dopo cos\u00ec tanti anni di servizio in quella posizione: considera che sono stato prima soprintendente del Patrimonio storico e artistico di Roma e del Lazio dal 1991 al 2001 e poi del Polo Museale romano dal 2001 al 2009. Solo che il modo in cui \u00e8 avvenuto non \u00e8 stato certo dei migliori e, a onor del vero, mi ha lasciato male.<\/em>
\n Molto mi \u00e8 costata, in tal senso, l\u2019occasione di una mostra assai delicata, sia nei contenuti sia negli scopi istituzionali sia nelle parte amministrativa, e per me infausta: parlo dell\u2019esposizione sui Santi patroni d\u2019Europa intitolata \u00abIl potere e la grazia\u00bb. La mostra, da me accettata per essere ospitata a Palazzo Venezia, fu inaugurata dalla neonominata Vodret, a ottobre del 2009, dall\u2019allora presidente del Consiglio Berlusconi e dal cardinal Bertone, assumendo l\u2019aspetto della celebrazione e consacrazione di un potere (il titolo fu abbastanza esplicito) che al momento sembrava incontrovertibile e perentorio. Le mie scelte in proposito, in specie riferite ai finanziamenti di questa mostra, ritengo che debbano avere a tal punto scontentato i miei superiori dell\u2019epoca da indurli ad accelerare un cambio della guardia, che sarebbe stato in s\u00e9 anche sacrosanto, se non fosse stato attuato, come di fatto accadde, senza alcun preavviso e in maniera brusca e a mio parere punitiva. La modalit\u00e0 della mia sostituzione fu talmente improvvisa e sorprendente che, insediatasi la collega Vodret alla guida della Soprintendenza, dopo pochi giorni fu predisposta un\u2019ispezione da parte del Ministero, come se si volesse dimostrare (o cos\u00ec almeno mi sembr\u00f2 e mi sembra ancora adesso) che si fossero verificati fatti tali da rendere necessaria una mia sostituzione immediata: lo dimostra il fatto che non venni nemmeno avvisato dell\u2019ispezione e mai convocato dall\u2019ispettore per dare gli eventuali chiarimenti, normalmente richiesti in fattispecie del genere. Tuttavia non venne rilevato niente di irregolare e men che mai di illecito nella mia gestione (e credo che sia stato cercato con scrupolo), come poi \u00e8 stato confermato dalla Corte dei Conti. Nonostante l\u2019incarico triennale che mi fu successivamente dato di dirigente generale di staff (non di direttore, si badi bene) si sia rivelato una buona occasione di collaborazione con l\u2019allora direttore generale della Valorizzazione Mario Resca, non sono comunque mai riuscito a ottenere la nomina di direttore generale, pur avendo regolarmente conseguito il grado di dirigente generale di prima fascia. Dietro quello che sembra un cavilloso e burocraticissimo gioco di parole, \u00abdirigente\u00bb e \u00abdirettore\u00bb, si celano, infatti, realt\u00e0 sostanziali, tra cui una: se il Ministero ti nomina dirigente generale ma non ti attribuisce la funzione di direttore generale, viene meno non solo la tua globale possibilit\u00e0 operativa, ma anche una parte notevole del tuo stipendio, che \u00e8 appunto legata<\/em> alla funzione; in altre parole, se la funzione non ce l\u2019hai (cio\u00e8 se sei dirigente ma non direttore), subisci un danno considerevole non solo nel campo specifico della tua attivit\u00e0, ma anche nel trattamento economico, fino ad arrivare, addirittura, a una decurtazione della pensione e della liquidazione, calcolate in gran parte proprio in base all\u2019ultimo stipendio. Come dirigente generale di staff non potevo avere la responsabilit\u00e0 di un ufficio e sono stato cos\u00ec costretto a un certo isolamento, ma, nonostante ci\u00f2, ho cercato di lavorare al meglio. Ho sostenuto inizialmente, finch\u00e9 ho potuto, l\u2019operato di Resca, specie nei rapporti internazionali con gli Stati Uniti, la Germania e la Cina (del resto nel periodo in cui sono stato soprintendente ho lavorato molto con l\u2019estero portando manifestazioni e iniziative in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Olanda, Stati Uniti, Brasile, Cina, Giappone e Australia, con risultati sovente assai apprezzabili); ho concluso il mio lavoro di dirigente con un\u2019indagine sull\u2019erogazione dei servizi al pubblico nei Poli Museali, i cui risultati mi auguro possano servire a migliorare alcuni aspetti del lavoro futuro.<\/em>
\n \u00c8 vero, che, arrivato alla fase conclusiva della mia carriera, cominciata a Genova nel 1974, speravo di poter dare qualcosa di pi\u00f9 all\u2019Ammi- nistrazione. Capisco, per\u00f2, che il mantenimento del potere \u00e8 diventato, per alcuni settori della vita pubblica italiana, una funzione pressoch\u00e9 esclusiva, basata sul principio che il potere stes- so resta sempre e soltanto nelle mani di chi ce lo ha gi\u00e0. Io negli anni pi\u00f9 intensi di lavoro ho concepito quel potere che mi \u00e8 stato legittima- mente dato, a seguito di prove selettive e con- corsi di merito secondo le modalit\u00e0 di un tempo, soprattutto come \u00abpoter fare\u00bb e credo di essermi comportato in conseguenza, \u00abfacendo\u00bb abba- stanza bene. Esiste, per\u00f2, anche l\u2019altra faccia della medaglia: la concezione, cio\u00e8, del potere come \u00abpoter impedire ad altri di fare\u00bb, e non nego che abbia una sua significativa validit\u00e0. Quest\u2019ultima tipologia per\u00f2 non sono stato mai in grado o desideroso di esercitarla.<\/em>
\ndi Fabrizio Lemme, da Il Giornale dell’Arte numero 335, ottobre 2013<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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