{"id":603,"date":"2011-04-27T18:56:38","date_gmt":"2011-04-27T16:56:38","guid":{"rendered":"http:\/\/www.annarosamattei.it\/?p=603"},"modified":"2022-11-26T20:58:22","modified_gmt":"2022-11-26T19:58:22","slug":"non-habemus-papam","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/?p=603","title":{"rendered":"(non) habemus papam.."},"content":{"rendered":"

Il papa di Nanni Moretti si chiama Melville. Molti di noi ricordano la storia di Bartleby lo scrivano<\/em>, l’impiegato che a ogni richiesta del suo capo ufficio oppone un inspiegabile e netto diniego: “Preferirei di no…” dice sempre Bartleby. “Che significa questa storia?” mi chiesi allora. Me lo chiedo ora di fronte alla storia raccontata con rara maestria da Nanni Moretti, che non pu\u00f2 aver chiamato Melville il suo papa senza una ragione. Mi sono sembrate ottuse le reazioni immediate. Il Vaticano si risente; i critici criticano: troppo lunga la partita dei cardinali, dicono molti; deludente la seconda parte del film, dicono altri; la scena del teatro neanche a parlarne; la psicoanalisi ridicolizzata, secondo i molti che la esercitano; e via di seguito… Quale aggettivo usare per questo tipo di lettura di un’opera d’arte, qual \u00e8, comunque, un film di Nanni Moretti? naturalistica? realistica? Ma il discorso dell’arte non \u00e8 sempre allegorico<\/em>? come mai oggi ci sfugge ci\u00f2 che ai tempi di Dante, di Melville, di Kafka era ovvio? Il nostro tempo \u00e8 talmente avvezzo allo scorrimento veloce e lineare di immagini e suoni da credere che l’unica lettura possibile di una storia sia quella letterale, come se nulla avesse spessore, come se personaggi e situazioni fossero semplicemente piatti<\/em>. Sembra sempre pi\u00f9 impraticabile la via dello scandaglio verticale, della domanda di senso: che significa<\/em> quel che vedo? Quel personaggio \u00e8 solo quel che appare? Per esempio, il papa di Moretti \u00e8 un papa verosimile, riconoscibile? oppure no? non \u00e8 per caso un personaggio che va oltre la sua immagine, la sua figura<\/em>, come direbbe Auerbach a proposito dello storico e vero<\/em> Celestino V, messo in scena da Dante nel terzo canto dell’Inferno<\/em>? Nel mondo dantesco ogni situazione, ogni personaggio \u00e8 certamente quel che \u00e8, ma \u00e8 anche qualcos’altro che va oltre <\/em>la sua dimensione terrena e letterale: come se la realt\u00e0 avesse uno spessore che i sensi non percepiscono ma che la mente e l’immaginazione intuiscono. Del resto nella cultura medievale il libro della natura e il mondo intero sono avvertiti e letti<\/em> come un sistema di segni simbolici da decifrare con grande sapienza e amore: l'”amor che move il sole e l’altre stelle” lo colgono davvero solo gli artisti e i poeti iniziati al divino linguaggio. Pensare di riprodurre e raccontare la realt\u00e0 restando sulla sua superficie non \u00e8 che mera illusione, da cui pu\u00f2 emergere solo una cronaca piatta e lineare, come sanno bene l’artista, il filosofo, lo scienziato, pronti a indagare e a interpretare <\/em>l’essenza di ogni cosa cogliendone i segnali misteriosi al di l\u00e0 dell’ingannevole percezione dei sensi. Papa Melville, dunque, in questo senso non<\/em> \u00e8 un vero<\/em> papa, tanto meno \u00e8 Ratzinger, cos\u00ec come i cardinali non<\/em> sono i veri <\/em> cardinali (che non sarebbero mai cos\u00ec buoni e inoffensivi..) e il Vaticano non<\/em> \u00e8 il Vaticano: anche se tutto sembra essere quel che appare essere, in realt\u00e0 nulla \u00e8 solo quel che \u00e8, nell’eterno teatro dell’essere e dell’apparire. Ogni cosa \u00e8<\/em> qualcos’altro<\/em>, che si scopre solo scavando e sbucciando la superficie delle cose. Il papa \u00e8 l’eterno Bartleby lo scrivano, figura dell’io<\/em> in pezzi, disperso in se stesso e nel mondo, immagine allegorica dell’eclisse della ragione, dell’inattualit\u00e0 dello spirito che si ritraggono entrambi impotenti di fronte alla richiesta di senso. “Preferirei di no..”, direbbe forse ciascuno di noi, se solo qualcuno si prendesse la briga di chiedergli, nel momento fatidico, se davvero desidera nascere per poi necessariamente morire. La storia di (non ) habemus papam<\/em>, inquadrata tra le grandi braccia del porticato di San Pietro che cinge la piazza ricolma di genti di ogni parte del mondo, racconta il disorientamento globale di ogni uomo, all’interno e all’esterno di s\u00e9, la paura di non farcela, di non ritrovare la strada, nell’assenza totale di punti di riferimento. Se abbiamo tutti paura, ne ha certamente di pi\u00f9 chi viene investito di un carico di sovrasenso, di un ruolo e di una parte in commedia che non conosce e non intende accettare. Costui, Bartelby\/Melville, invece di recitare la sua parte rassicurando i fedeli <\/em>spettat(t)ori, interpreta al massimo grado la sua propria personale angoscia da panico e da sperdimento: urla, scappa, si fa comparsa tra la gente comune, torna, infine, ma per dire no<\/em>, preferirei di no<\/em>, e quindi volta definitivamente le spalle al pubblico in attesa del verbo<\/em> impossibile. Nessuna Chiesa, nessuna scienza, \u00e8 in grado di dare una risposta al mondo confuso, n\u00e9 di proporre un’ipotesi di senso, un orientamento: i cardinali desistono, non ce la fanno a rimettersi in gioco; il papa volge le spalle e non ce la fa a recitare la sua parte; lo stesso psicoanalista non ce la fa a curare il sistema malato. “La vita \u00e8 una malattia mortale ” direbbe Zeno Cosini, variante di Bartleby, al suo medico occhialuto, convinto di avere trovato le ragioni del suo malessere e di poterlo curare. Ma l’unica risposta non pu\u00f2 che essere sempre un punto di domanda. <\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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