‘Il Corriere della Sera’ 12 novembre 2012<\/p>\n
L’EUROPA DELLA MONETA UNICA
\nUn animale senza difese<\/em>
\ndi Giovanni Sartori <\/strong><\/p>\n
Non so bene quanti siano gli Stati, Staterelli o isolotti-Stato oggi esistenti. Diciamo, all’ingrosso, circa 200. Eppure il pi\u00f9 strano animale tra questi duecento \u00e8 l’Europa dell’euro. L’animale \u00e8 grandino, conta ancora nel mondo, ma \u00e8 anche un animale assurdo. \u00c8 unificato da una moneta comune sottratta al controllo dei singoli Stati membri. E fin qui va bene. Per\u00f2 disporre di una moneta unica non basta: impedisce, \u00e8 vero, il rimedio \u00absporco\u00bb della inflazione per fronteggiare i debiti; ma oggi come oggi facilita le incursioni monetarie della speculazione internazionale.<\/p>\n
Il rimedio? Quello risolutivo sarebbe, a detta dei pi\u00f9, di arrivare a un’Europa federale. Ma temo che sia un rimedio impossibile. Uno Stato federale richiede una lingua comune. Difatti tutti gli Stati federali esistenti sono costituiti da componenti che si capiscono e parlano tra loro. La Germania parla tedesco, gli Stati Uniti e l’Australia l’inglese (e cos\u00ec pure l’India a livello di \u00e9lite di governo), il Brasile il portoghese, l’Argentina e il Messico lo spagnolo, e cos\u00ec via citando. Se l’Europa diventasse uno Stato federale io mi potrei trovare sulla scheda di voto un candidato finlandese del quale non saprei nemmeno pronunziare il nome e del quale nessun europeo sa nulla. La sola piccolissima eccezione \u00e8 la Svizzera, che per\u00f2 a livello di classe politica federale si intende benissimo. E trovo stupefacente che nessuno dei proponenti dell’Europa federale si renda conto di questo pressoch\u00e9 insuperabile ostacolo.<\/p>\n
E allora? Allora il nostro strano animale \u00e8 anche il pi\u00f9 indifeso al mondo. Tutti gli altri Stati si difendono quando i loro interessi vitali vengono minacciati con dazi e severi controlli doganali. Persino l’Inghilterra, con un piede dentro e un piede fuori dall’Europa dell’euro, resta liberissima di proteggersi con dazi sulle importazioni; e siccome mantiene la sterlina resta anche liberissima di stampare moneta. Lo stesso \u00e8 ancor pi\u00f9 vero per gli Stati Uniti, che per esempio hanno di recente protetto \u00abprotezionisticamente\u00bb la loro produzione di acciaio.<\/p>\n
L’Europa dell’euro \u00e8 invece inerme, come se fosse votata al suicidio. Si prenda il recente caso dell’alluminio del Sulcis. L’Alcoa se n’\u00e8 andata per la semplicissima ragione che la nostra energia elettrica \u00e8 pi\u00f9 cara (la importiamo in parte dalla Francia e, ironia della sorte, dalle sue centrali nucleari). Mi chiedo: non avrebbe senso che l’autorit\u00e0 europea della concorrenza si comportasse in modo pi\u00f9 flessibile? Tanto da consentire all’Italia di salvare l’alluminio del Sulcis accollandosi il differenziale elettrico? L’occupazione si difende cos\u00ec. Se no come facciamo a produrre lavoro e ricchezza?<\/p>\n
\u00c8 un quesito al quale dovrebbero rispondere gli economisti. Ma negli ultimi venti-trenta anni gli economisti si sono buttati in massa sull’economia finanziaria (che \u00e8 eccitante e rende anche bene), ignorando la distinzione che ricordavo. Leggevo l’altro giorno su Repubblica un articolo di Luciano Gallino, uno studioso molto serio della materia da tutti rispettato, intitolato \u00abLa strada da seguire per creare pi\u00f9 lavoro\u00bb. Mi sono detto: finalmente un titolo che affronta il problema senza fronzoli evasivi, senza paura di fare paura. Ma poi Gallino sa solo proporre la cosiddetta job guarantee (JG), una formula per la quale \u00e8 lo Stato che crea direttamente occupazione. S\u00ec, ma \u00e8 troppo poco: sono gocce di acqua in uno stagno. Tutto serve o pu\u00f2 servire; ma anche Gallino \u00e8 costretto dai tab\u00f9 che ci paralizzano a proporre un rimedio troppo piccolo per un malanno troppo grande.<\/p>\n
Intanto la realt\u00e0 \u00e8 questa: che in Italia le piccole imprese che resistono alla crisi e che prosperano sono soprattutto le circa 13.000 aziende, di regola aziendine, create e gestite da immigrati. Tante grazie. Sono di solito imprese familiari che non hanno (per loro fortuna) la tutela della Camusso e dei nostri sindacati. Aggiungi che le nostre aziende di media grandezza in su continuano sempre pi\u00f9 a fuggire dall’Italia (a meno di non poter utilizzare, restando qui, la manodopera sottocosto degli immigrati o anche dei clandestini). Al contempo tra il giugno 2011 e quello 2012 il flusso degli investimenti esteri che ci lasciano \u00e8 stato di 235 miliardi, pari al 15 per cento del nostro Pil (prodotto interno lordo). E perch\u00e9 meravigliarsi?<\/p>\n
L’Italia \u00e8 un Paese la cui burocrazia \u00e8 probabilmente tra le pi\u00f9 lente, inefficienti e anche esasperanti della zona euro. Inoltre l’Italia \u00e8 classificata tra i Paesi pi\u00f9 corrotti tra i 200 che ricordavo all’inizio. Senza contare che persino lo Stato paga i suoi fornitori anche con dodici mesi di ritardo. Infine abbiamo un cuneo fiscale (il prelievo del Fisco sui salari) davvero eccessivo che, dice giustamente il presidente di Confindustria Squinzi, \u00abstrangola\u00bb la nostra economia. E anche questo non \u00e8 certo un incentivo per attirare investimenti dall’estero.<\/p>\n
Tirate le somme, la crisi dell’occupazione non verr\u00e0 certo rimediata in un anno. E anzi temo che si aggraver\u00e0 finch\u00e9 non cominceremo a proteggerci. D’altra parte non arrivo a intravedere una soluzione migliore alla politica delle porte spalancate di quella di una concorrenza vigilata e corretta da una forte autorit\u00e0 europea che sia flessibile e attenta alle emergenze. Qualcuno ha idee migliori? Se cos\u00ec, tanto meglio. La mia proposta intende soltanto sollevare il problema. Cominciamo a discuterne, invece di continuare a fare i finti (o magari veri) tonti.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
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