Si trova gi\u00e0 in libreria un bel volume di autori vari, Il Palazzo del Tritone a Roma<\/em>, promosso da Sorgente Group<\/em>, da Valter e Paola Mainetti, e pubblicato da De Luca. Vi propongo in lettura il mio breve saggio sulla letteratura liberty a Roma, scritto con l’intento di dimostrare quanto la letteratura sia un’arte anch’essa, senza ombra di dubbio, come ben sapevano gli scrittori di fine secolo in una vasta area europea di cui Roma entra a far parte dal momento in cui diventa capitale d’Italia: un discorso tutto da rifare in questi nostri tempi difficili dominati dal demone commerciale.<\/p>\n
ANNA (Annarosa) MATTEI<\/p>\n
Letteratura liberty a Roma<\/em><\/strong>
\nIl passaggio dal simbolo all\u2019allegoria: alle origini del liberty<\/em>
\nIl rapporto tra bellezza, arte e cultura \u00e8 segnato spesso da visioni contrapposte della realt\u00e0, una oggettiva e dogmatica, apparentemente propria della scienza, e un\u2019altra, soggettiva e relativistica, che sembra propria dell\u2019arte e della ricerca pi\u00f9 avanzata. Nella prima met\u00e0 dell\u2019Ottocento si ha l\u2019impressione che la via del realismo sia obbligata per l\u2019artista che intenda legittimare il suo ruolo illustrando i progressi e i problemi della societ\u00e0 europea. Ma gi\u00e0 a met\u00e0 secolo, in Inghilterra, il movimento preraffaellita dei fratelli Dante Gabriel e William Michael Rossetti, ispirato agli scritti di John Ruskin, contesta i canoni dell\u2019oggettivit\u00e0, identificati con la bruttezza e il materialismo della civilt\u00e0 industriale, proponendo il ritorno al bello e alla gratuit\u00e0 del mondo cavalleresco medievale: Ruskin afferma che l\u2019arte \u00e8 bella quando la mano, la testa e il cuore lavorano insieme. In Francia Th\u00e8ophile Gautier e il movimento dei parnassiani, ispirandosi alla mitica dimora di Apollo e delle Muse, esprimono la stessa idea dell\u2019arte per l\u2019arte, priva di fini o necessit\u00e0 esterni a se stessa.
\nNel 1857 Madame Bovary di Gustave Flaubert e Les fleurs du mal<\/em> di Charles Baudelaire destabilizzano i principi del realismo suscitando dibattiti, polemiche, processi per offesa della morale. Flaubert non crede in una lettura univoca e oggettiva della realt\u00e0 che restringe nella visione parziale, frammentaria e limitata dei personaggi. Baudelaire proietta sul mondo esterno i turbamenti dell\u2019io trasformando gli spazi cittadini in eleganti arabeschi allegorici: \u201cParis change! Mais rien dans ma melancolie n\u2019a boug\u00e9! Palais neufs, \u00e9chaufaudages, blocs,\/ vieux faubourgs, tout pur moi devient all\u00e9gorie,\/ et mes chers souvenirs sont plus lourds que des rocs\u201d. (\u2018Tableaux parisiens\u2019, in Les fleurs du mal<\/em>) Emile Zola ritiene che la scrittura e la narrazione debbano essere uno scandaglio scientifico della societ\u00e0, ma nel 1884, quando ha appena terminato il ciclo dei Rougon Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia nel secondo impero (1870-83), il suo allievo Joris-Karl Huysmans abbandona la via del naturalismo pubblicando A rebours, romanzo simbolista e allegorico. Nella storia l\u2019aristocratico Des Esseintes, in fuga da un mondo e da una societ\u00e0 corrotti, si rinchiude in una villa in campagna dove tutto viene da lui concepito e realizzato come opera d\u2019arte, anche il carapace di una tartaruga, che viene cesellato e ricoperto d\u2019oro portando alla morte la povera bestia.
\nPubblicato sul \u00abFigaro\u00bb del 18 settembre 1886, il Manifesto del Simbolismo<\/em> di Jean More\u00e0s afferma che l\u2019arte deve essere \u201cdecorativa\u201d, \u201csoggettiva, sintetica, simbolista e ideista\u201d. E un anno prima, in Inghilterra, Marius the Epicurean. His sensation and Ideas<\/em>, romanzo filosofico di Walter Pater, teorizza il culto della bellezza e i principi del movimento estetico proponendo l\u2019ideale dell arte per il gusto dell\u2019arte: \u2018art for art\u2019s sake\u2019. Nel 1891 Oscar Wilde, in The Picture of Dorian Gray<\/em>, ripropone le riflessioni di Pater, suo maestro a Oxford, scrivendo nell\u2019introduzione che \u201cl\u2019artista \u00e8 il creatore di cose belle\u201d, che \u201cl\u2019arte non rispecchia la vita ma lo spettatore\u201d, che \u201ctutta l\u2019arte \u00e8 completamente inutile\u201d. Dorian Gray, come Des Esseintes, si circonda di quadri, oggetti, libri preziosi, si illude di diventare lui stesso un\u2019opera d\u2019arte trasferendo nel ritratto i suoi guasti fisici e morali: i due personaggi diventano paradigmi allegorici dell\u2019autonomia dell\u2019arte rispetto alla natura, alla societ\u00e0, alla vita stessa con cui, anzi, contrasterebbe fino a distruggerla.
\nIl simbolismo sconfina nell\u2019allegorismo e nell\u2019estetismo gi\u00e0 nelle riflessioni di John Ruskin (The Stones of Venise<\/em>, 1853) e del suo allievo William Morris, che pone le basi del movimento Arts and Crafts<\/em> opponendo all\u2019industrializzazione il lavoro dell\u2019uomo, dell\u2019artista e dell\u2019intellettuale, nel cosiddetto Gothic Revival che precorre la nascita dell\u2019Art nouveau. I presupposti teorici e i procedimenti poetici del simbolismo sono compenetrati nell\u2019estetismo di derivazione inglese soprattutto per l\u2019assolutizzazione del ruolo dell\u2019arte e per l\u2019importanza che assume l\u2019allegoria rispetto al simbolo.
\n Negli anni ottanta e novanta le due correnti coesistono e si incrociano con il movimento speculare del naturalismo rappresentando modi complementari di entrare in contatto con le contraddizioni di una societ\u00e0 in veloce trasformazione. Secondo i principi del naturalismo l\u2019opera d\u2019arte \u00e8 un rilievo fotografico della realt\u00e0 e l\u2019artista \u00e8 uno scienziato che ne pu\u00f2 curare i mali. Il simbolismo parte dallo stesso presupposto analitico ma con l\u2019intento di scoprire il linguaggio nascosto della natura, segni, corrispondenze, analogie che l\u2019uomo civilizzato non sa pi\u00f9 intendere. Presunta oggettivit\u00e0 nel primo caso, soggettivit\u00e0 estrema nel secondo: comunque un tentativo di dialogo con la realt\u00e0 effettuale. Nel passaggio dal simbolismo all\u2019estetismo scompare questa illusione di contatto e nel dialogo tra l\u2019arte, intesa come finzione totalizzante, e l\u2019indecifrabile enigma della realt\u00e0, si propende nettamente per la prima soluzione, sciogliendo i nessi tra il significante e il significato, tra le parole e le cose, liberando l\u2019arte dalla necessit\u00e0 del senso. La letteratura esige \u201cdistinzione, fascino, bellezza e fantasia\u201d che solo la finzione, la menzogna dell\u2019arte, possono garantire, come afferma Oscar Wilde in The Decay of Liyng<\/em>, La decadenza del mentire<\/em> (1889), opponendosi al realismo che riduce l\u2019arte a imitazione della vita: \u201cLa Natura, non meno della Vita, \u00e8 un\u2019imitazione dell\u2019Arte\u201d \u00e8 la sintesi paradossale delle sue teorie estetiche.
\nCon l\u2019estetismo il simbolo diventa allegoria concettuale, rappresenta la forma estetica della scissione dell\u2019io dal mondo, disgrega la realt\u00e0 oggettiva lasciando emergere la soggettivit\u00e0: come gi\u00e0 sapevano Tasso, Shakespeare, Cervantes, Marino, Milton, la cultura barocca, da cui \u00e8 influenzata l\u2019art nouveau in ogni suo aspetto, dalla letteratura all\u2019arte, alle arti applicate. Il filosofo Walter Benjamin riconosce nell\u2019uso dell\u2019allegoria e nei linguaggi della modernit\u00e0 gli stessi modelli espressivi dell\u2019arte barocca: secondo lo studioso tedesco, nelle epoche di crisi, quando i paradigmi conoscitivi diventano probabilistici, l\u2019arte non ricorre pi\u00f9 al simbolo, segno di unit\u00e0 del\u2019io con il mondo, ma esprime il suo disorientamento nella figurazione allegorica concettuale e nella rinuncia a un senso univoco e oggettivo. (1)
\nTra simbolo e allegoria oscilla la lunga stagione del liberty<\/em> o art nouveau<\/em>, durante la cosiddetta Belle Epoque<\/em>, attraversata da sotterranee tensioni che esploderanno nelle avanguardie di inizio secolo arrivando alle soglie della prima guerra mondiale. Il nuovo stile appare come una sorta di radicalizzazione estrema dei vari \u2018ismi\u2019 tardo ottocenteschi, un modo di competere con la modernit\u00e0 avanzante della civilt\u00e0 della tecnica e delle macchine in una sorta di lunga sfida che tenta di estetizzarne ed esorcizzarne la bruttezza e la corruzione. Walter Benjamin definisce in questo modo il liberty: \u201c\u00e8 l\u2019ultimo tentativo di sortita dell\u2019arte assediata dalla tecnica nella sua torre d\u2019avorio: un tentativo che mobilita tutte le riserve dell\u2019interiorit\u00e0. Essa trova la sua espressione nel linguaggio lineare medianico, nel fiore come simbolo della natura nuda e vegetativa, che si oppone all\u2019ambiente tecnicamente armato\u201d. (2)
\nIl libero gioco combinatorio dei segni che caratterizza il liberty appare come una rivoluzione \u2018moderna\u2019, tanto da essere chiamato anche \u2018modernismo\u2019: cadono le barriere tra i linguaggi, siano essi figurativi, musicali o letterari, si azzera ogni corrispondenza tra i segni e il senso, si affermano con forza la gratuit\u00e0 e l\u2019autonomia dell\u2019arte. Attraverso la linea serpentina del liberty, la astratta e insistita decorazione che trasforma ogni tratto della realt\u00e0 in una fitta foresta floreale, in una un\u2019incessante metamorfosi dall\u2019organico all\u2019inorganico, ogni cosa si dissolve nella totale finzione, liberando il segno dalla necessit\u00e0 di rappresentarla. La visione del mondo liberty non ha pi\u00f9 nessun fondamento naturalistico e, nonostante sembri ridurre ogni aspetto del reale al mondo vegetale, il motivo dell\u2019arabesco, l\u2019assenza della profondit\u00e0 spaziale e temporale non rappresentano pi\u00f9 una realt\u00e0 sensibile e oggettiva ma evocano il bello ideale attraverso la potente spinta soggettiva dell\u2019immaginazione in una sorta di revival del primo romanticismo.<\/p>\n
Fermenti estetizzanti nella letteratura della nuova Italia unita<\/em>
\nNegli anni settanta e ottanta Milano e Roma sono tra i centri urbani pi\u00f9 significativi del processo di modernizzazione. A Milano vive la tradizione degli studi scientifici e filosofici, si avvertono gli ultimi echi della \u201cscapigliatura\u201d, fioriscono le case editrici (Sonzogno, Vallardi, Treves) e le riviste di avanguardia; sempre a Milano i catanesi Luigi Capuana e Giovanni Verga elaborano il manifesto del verismo, sollecitati dalle discussioni letterarie intorno al naturalismo francese. Lo stesso Giovanni Verga, per\u00f2, pur essendo il teorico del nuovo procedimento narrativo, non crede del tutto al canone dell\u2019impersonalit\u00e0, n\u00e9 pensa, come Zola, di identificarsi con il compito e il ruolo dello scienziato terapeuta. Nelle novelle di Vita dei campi e nei due romanzi del ciclo dei Vinti, I Malavoglia<\/em> (1881) e Mastro don Gesualdo<\/em> (1889), non solo la visione del mondo \u00e8 del tutto negativa, ma la voce del narratore si insinua all\u2019interno del racconto destabilizzando il criterio verista dell\u2019oggettivit\u00e0, secondo il quale la realt\u00e0 pu\u00f2 essere rappresentata abolendo del tutto il filtro critico del soggetto.
\nNel corso degli anni ottanta romanzi, racconti e novelle narrano le diversit\u00e0 e la presa di coscienza della nuova Italia unita secondo apparenti canoni veristi ma in realt\u00e0 preannunciando procedimenti e temi decadenti. Riflettendo su alcuni titoli e date, si nota subito che la tendenza realistica e quella estetizzante coesistono, come accade gi\u00e0 in Francia e in Inghilterra: Goccie d\u2019inchiostro<\/em> (1880) di Carlo Emilio Dossi, Malombra <\/em>(1881) di Antonio Fogazzaro, romanzi gi\u00e0 venati di estetismo, escono insieme a I Malavoglia<\/em> di Giovanni Verga, manifesto programmatico del verismo; Le avventure di Pinocchio<\/em> di Collodi (1883), i racconti edificanti di Cuore<\/em> (1886) di Edmondo De Amicis, escono a ridosso di due romanzi antitetici e speculari come Mastro don Gesualdo<\/em> (1889) di Verga e Il Piacere<\/em> (1889) di Gabriele D\u2019Annunzio, bibbia del decadentismo italiano e del nuovo gusto liberty. In questo orizzonte di opposte e simultanee tendenze Il piacere<\/em> pu\u00f2 essere considerato, anzi, una inconsapevole prosecuzione del ciclo incompiuto dei Vinti<\/em>. Verga aveva progettato di scrivere cinque romanzi per rappresentare il fallimento delle ambizioni umane, a partire dalla lotta per la sopravvivenza dei Malavoglia<\/em>, il tentativo di ascesa sociale di Mastro don Gesualdo,<\/em> l\u2019albagia della Duchessa di Leyra<\/em>, le ambizioni politiche dell\u2019Onorevole Scipioni<\/em>, il gusto estenuato per la bellezza dell\u2019Uomo di lusso<\/em>: ma, dopo aver abbozzato La duchessa di Leyra, Verga passa incosapevolmente la parola del suo \u2018uomo di lusso\u2019 all\u2019 \u2018esteta\u2019 Andrea Sperelli, novello dandy della letteratura italiana. L\u2019impossibilit\u00e0 di raccontare in modo oggettivo la visione del mondo soggettiva ed estetizzante del suo \u201cuomo di lusso\u201d porta Verga a dubitare del procedimento verista e a rinunciare al suo programma letterario. Gi\u00e0 in Senso<\/em> (1883) di Camillo Boito, seguace di John Ruskin, si percepisce un sentore di decadenza nei tratti della contessa Livia, che preannuncia i personaggi femminili del Piacere; i lombardi \u201cscapigliati\u201d Giuseppe Rovani, Emilio Praga, Iginio Ugo Tarchetti si iapirano alla poesia di Baudelaire, ai racconti allucinati di Edgar Allan Poe, al relativistismo di Flaubert piuttosto che al magistero realistico di Balzac o di Manzoni: tutti segni di una frattura critica nell\u2019orizzonte della cultura ottocentesca, in cui l\u2019arte sembra trovare senso solo quando si propone come scienza sociale, utile e produttiva.
\nTra gli anni ottanta e il primo decennio del Novecento la \u2018scrittura di parole\u2019 sembra dunque prevalere sulla \u2018scrittura di cose\u2019, nonostante l\u2019aspro giudizio di Pirandello, che, a cinquant\u2019anni di distanza dalla pubblicazione dei Malavoglia, in un discorso pronunciato alla Reale Accademia d\u2019Italia in memoria del suo maestro, usa questi termini per celebrare l\u2019essenzialit\u00e0 e l\u2019oggettivit\u00e0 di Verga contro il ridondante estetismo dannunziano. Ed \u00e8 a Roma – teatro delle avventure d\u2019arte e d\u2019amore di Andrea Sperelli \u2013 che si consuma del tutto l\u2019esperienza verista, a partire dal 1881, quando arriva da Pescara un oscuro diciottenne, che in pochi anni si fa arbitro di mondanit\u00e0 e di eleganza, orientando il gusto e le tendenze dell\u2019arte e della letteratura verso il simbolismo e l\u2019estetismo. Dieci anni dopo, Il piacere<\/em>, celebrando il bello, l\u2019arte e la poesia, diventa il manifesto dell\u2019estetismo italiano e romano in particolare, ponendo le basi dell\u2019Art Nouveau<\/em> e consegnando il nome di D\u2019Annunzio alla belle \u00e9poque italiana, destinata a chiudersi con l\u2019ingresso del paese nella guerra che lo scrittore vivr\u00e0 come una straordinaria occasione di rinnovamento estetico.<\/p>\n
Romanzieri e giornalisti a Roma tra liberty e decadentismo<\/em>
\nNel 1911 si apre l\u2019Esposizione universale a Torino e a Roma, dove si inaugura anche il Vittoriano nell\u2019antica piazza Venezia, sventrata e radicalmente trasformata. Nel \u201cdeserto laziale\u201d, come lo chiamer\u00e0 D\u2019annunzio nelle Vergini delle rocce<\/em> (1895), Roma capitale diventa in pochi anni un laboratorio di attivit\u00e0 giornalistiche, editoriali, artistiche e letterarie, popolata da scrittori, pittori, musicisti, che si ritrovano nei caff\u00e8 cittadini, nelle redazioni dei giornali e delle riviste. La citt\u00e0 presenta un singolare melting pot sociale e culturale in cui ecclesiastici e aristocratici della vecchia citt\u00e0 pontificia convivono con intellettuali e artisti, politici, militari, finanzieri, avventurieri, oltre che con la massa della piccola borghesia inurbata di impiegati e commercianti. Roma diventa la capitale dell\u2019edilizia, degli affari, della politica, si trasforma in un cantiere totale in cui si distrugge e si ricostruisce non solo dal punto di vista urbanistico ma anche dal punto di vista artistico e letterario: linguaggi e tendenze si attraversano caoticamente nelle redazioni e sulle pagine delle riviste e dei giornali che proliferano in gran numero. Cos\u00ec il giovane D\u2019Annunzio, sotto lo pseudonimo di Duca minimo, commenta l\u2019operosit\u00e0 della capitale, in un articolo su \u201cLa Tribuna\u201d del 12 maggio 1885: \u201cRoma diventa la citt\u00e0 delle demolizioni. La gran polvere delle rovine si leva da tutti i punti dell\u2019Urbe e si va disperdendo a questi dolci soli maggesi. (….)\u201d; \u00e8 una Roma \u201ccostruita dalli architetti giovani, che lasceranno da parte le eleganze del Bramante e si ispireranno utilmente al palazzo del Ministero delle Finanze\u201d. Carlo Dossi, eccentrico intellettuale lombardo, segretario particolare di Francesco Crispi, collaboratore della \u00abCronaca bizantina\u00bb, lascia un\u2019esilarante testimonianza del fervore cantieristico della capitale nei Mattoidi al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuele II<\/em> (1884), una rassegna dei demenziali progetti per l\u2019altare della patria. Nella citt\u00e0 distrutta e rinnovata, il vecchio coesiste col nuovo, i prodotti di consumo con quelli di qualit\u00e0, procedimenti e linguaggi espressivi si rimescolano nel segno della modernit\u00e0: per usare la metafora di Mattia Pascal nell\u2019omonimo romanzo di Pirandello, quella che era un\u2019 \u201cacquasantiera\u201d per i principi e i papi del passato, per i nuovi venuti diventa un \u201cportacenere\u201d.
\nDagli anni ottanta alla met\u00e0 degli anni novanta le redazioni dei giornali e delle riviste letterarie sono veri cenacoli culturali: la sede del quotidiano \u00abCapitan Fracassa\u00bb(1880-90), in via del Corso, la celebre terza saletta del caff\u00e9 Aragno, o il Caff\u00e8 Greco, sono punti d\u2019incontro per artisti e scrittori. D\u2019Annunzio non frequenta professori e aule universitarie ma giornalisti, artisti, intellettuali, aristocratici; sposa la nobile Maria Hardouin di Gallese da cui ha tre figli; scrive su tutti i quotidiani e le riviste della capitale. Nel 1882, nella redazione del \u00abCapitan Fracassa\u00bb, incontra Edoardo Scarfoglio, un altro giovane abruzzese, che lo descrive cos\u00ec: \u201cGabriele, fanno ora due anni, giunse a Roma dall\u2019Abruzzo con la bella e fresca ricchezza dei suoi vent\u2019anni, e con molta opulenza di poesia e di prosa poetica. E subito mi venne a vedere. Ero, me ne rammento benissimo, sdraiato sopra una panca degli uffici del Capitan Fracassa, e sbadigliavo tra le ciancie di molta gente; e alla prima vista di quel piccolino con la testa ricciuta e gli occhi dolcemente femminili, che mi nomin\u00f2 e nomin\u00f2 s\u00e9 con un\u2019inflessione di voce anch\u2019essa muliebre, mi scossi e balzai su stranamente colpito. E l\u2019effetto fu, in tutti quelli che lo videro, eguale. (…) Gabriele ci parve subito un\u2019incarnazione dell\u2019ideale romantico del poeta: adolescente, gentile bello, nulla gli mancava per rappresentarci alla fantasia il fanciullo sublime salutato da Chateaubriand in Victor Hugo.\u201d (3) Edoardo Scarfoglio si dedicherebbe alla letteratura, come l\u2019amico D\u2019annunzio, se non fosse intrappolato in \u201cun lavoro forzato e ingrato di scribacchino\u201d, che nella seconda edizione del Libro di Don Chisciotte definisce il \u201ctormento della mia vita e il fastidio di tanta gente\u201d. Oltre al Libro di don Chisciotte (1885), raccolta di articoli di critica letteraria, in cui lo scrittore parla di un\u2019arte aristocratica, di un nuovo rinascimento letterario, Scarfoglio pubblica una raccolta di poesie, Papaveri (1880), un volume di racconti, Il processo di Frine (1884), in cui \u00e8 gi\u00e0 ben lontano dal modello verghiano. Chi scrive molto \u00e8 la moglie, Matilde Serao, con cui condivide il lavoro giornalistico a Roma e a Napoli, dove fondano il \u00abCorriere di Napoli\u00bb e \u00abIl Mattino\u00bb (1891): decine e decine di libri sovraccarichi di esuberanza espressiva. In La conquista di Roma<\/em> (1885) e Vita e avventure di Riccardo Joanna <\/em>(1887) la scrittrice napoletana descrive la corruzione politica, la speculazione, i drammi sociali: il primo \u00e8 un romanzo parlamentare, mentre il secondo racconta il mondo giornalistico attraverso l\u2019ascesa e la caduta di personaggi giunti in citt\u00e0 in cerca di fortuna. Giulio Salvadori, un toscano trapiantato a Roma, collaboratore della rivista \u00abCronaca bizantina\u00bb, recensendo La conquista di Roma <\/em> sul \u00abFanfulla della Domenica\u00bb del 12 luglio 1885, dice: \u201cNoi domandiamo Roma; e l\u2019arte, come la vita ci d\u00e0 Bisanzio (…) Roma \u00e8 stata, e sar\u00e0 sempre la citt\u00e0 della forza, della politica e degli affari. Anche nell\u2019ultima incarnazione non l\u2019hanno potuta prendere che le armi, e non la conquisteranno che i milioni\u201d.
\nRoma, nei primi anni ottanta, \u00e8 la capitale di un giornalismo essenzialmente letterario, terreno di incontro fra scrittori della vecchia e della nuova generazione, come Pascoli e Carducci, Verga e Capuana, D\u2019Annunzio e Pirandello. Il \u00abFanfulla della Domenica\u00bb, nato nel 1879 come supplemento del \u00abFanfulla\u00bb con l\u2019intento di divulgare la letteratura straniera, di sprovincializzare il gusto, \u00e8 il primo giornale letterario dell\u2019Italia unita, su cui scrivono sia il giovanissimo D\u2019Annunzio che i pi\u00f9 anziani Carducci e Capuana. Gli stessi collaboratori del \u00abFanfulla\u00bb scrivono anche sulla rivista \u00abDomenica letteraria\u00bb (1882-85), mentre il \u00abCapitan Fracassa\u00bb, come organo della Sinistra, ospita gli scritti pi\u00f9 moderni e polemici di Scarfoglio, della Serao, dello stesso D\u2019Annunzio. Le riviste, comunque, sono talmente tante che a Carducci, poeta \u2018professore\u2019 della vecchia guardia, scapper\u00e0 di dire in un lettera a Sommaruga del 1883: \u201cImpiccatevi tutti, impresari d\u2019una letteratura che non c\u2019\u00e8\u201d.
\nNel 1878 si trasferisce a Roma anche una rivista fiorentina di antica tradizione come \u00abLa Nuova antologia\u00bb (fondata a Firenze nel 1866), che tra il 1888 e il 1909 pubblica a puntate i Saggi critici<\/em> di Francesco De Sanctis, alcuni romanzi di Matilde Serao, Il mistero del poeta<\/em> (1888) e Piccolo mondo moderno<\/em> (1900-01) di Antonio Fogazzaro, Mastro don Gesualdo<\/em> di Giovanni Verga (l\u2019anno dopo, nel 1889, uscir\u00e0 in volume da Treves); Il fu Mattia Pascal<\/em> di Luigi Pirandello (1904); Dal tuo al mio<\/em> di Giovanni Verga (1905). Giornali, supplementi letterari, riviste attirano nella capitale molti giovani scrittori dal nord, dal centro e dal sud: dal Piemonte Giovanni Faldella, per esempio, dall\u2019Abruzzo D\u2019Annunzio, dalla Sicilia Pirandello, che maturano procedimenti stilistici e narrativi diversi sperimentando la scrittura giornalistica e contaminandola con quella letteraria. Nel cantiere romano, accanto agli astuti faccendieri, ai politici e agli artisti, soprattutto gli scrittori affollano il panorama letterario cittadino cercando visibilit\u00e0 come giornalisti. Sembra del tutto superata, in un clima culturale di tal fatta, l\u2019et\u00e0 dei poeti-professori, come Carducci e Pascoli, impegnati nell\u2019attivit\u00e0 didattica, nello studio e nella ricerca, appagati dall\u2019attivit\u00e0 poetica: D\u2019Annunzio, distaccandosi ostentatamente da questo clich\u00e8, afferma che \u201cbisogna rinnovarsi o morire\u201d.<\/p>\n
Roma \u2018bizantina\u2019<\/em>
\nRoma, per la sua vivacit\u00e0 culturale, appare come una nuova Bisanzio allo sguardo perplesso e ammirato di artisti e letterati. Negli anni ottanta e novanta risulta presente una nutrita colonia abruzzese, composta da Francesco Paolo Michetti, Costantino Barbella, Francesco Paolo Tosti, Edoardo Scarfoglio. L\u2019attivit\u00e0 artistica di Michetti si realizza proprio in questo operoso decennio, tra Il voto<\/em>, esposto a Roma nel 1883, e La figlia di Jorio<\/em>, esposto alla prima biennale di Venezia del 1895, in una parabola che si apre e si chiude negli anni dell\u2019esplosione di Roma capitale.
\nD\u2019Annunzio, amico di Michetti, si ambienta perfettamente nel clima \u201cbizantino\u201d della citt\u00e0, maturando una scrittura contaminata con la musica e l\u2019arte, secondo i principi del simbolismo e dell\u2019estetismo; cos\u00ec lo descrive Ugo Ojetti: \u201cpoeta tutto sensi che a vent\u2019anni era gi\u00e0 innamorato di tutte le arti figurative e gi\u00e0 riempieva dei loro ricordi i suoi scritti\u201d. Le liriche di Canto novo<\/em> (1882), pubblicate dall\u2019editore Angelo Sommaruga come Intermezzo di rime <\/em>(1883) e le novelle di Terra vergine<\/em> (1884), sono illustrate dai disegni dell\u2019amico pittore e a Ojetti sembrano un \u201cacceso riflesso di un quadro michettiano\u201d. (4)
\nSommaruga \u00e8 l\u2019ideatore e l\u2019editore della rivista \u00abCronaca bizantina\u00bb (1881-1885), stampata in quattro fogli ornati in stile liberty, che ospitano gli scritti di Dossi, Carducci, Pascoli, D\u2019Annunzio e di molti altri scrittori e giornalisti. L\u2019imprenditore pubblica saggistica e narrativa, cronache mondane e pubblicit\u00e0, esaltando la qualit\u00e0 degli scritti e l\u2019eleganza tipografica, immaginando di fare della rivista il motore del dibattito sulle arti e la letteratura.
\n Il triestino Scipio Slataper, recensendo nel 1911 una riedizione del Libro di don Chisciotte<\/em> di Scarfoglio sulla rivista fiorentina \u00abLa Voce\u00bb, riassume cos\u00ec l\u2019attivit\u00e0 di Sommaruga: \u201cL\u2019Italia era povera e paurosa; era provinciale; ed egli vi piant\u00f2 come un Louvre parigino, luccicante di mai visti carboni elettrici. L\u2019Italia si era unita in Roma, ma Milano non conosceva Napoli, Genova, non l\u2019Abruzzo. La letteratura viveva nelle tenebre regionali. Egli l\u2019unific\u00f2 in Roma: Dossi sciolse il suo meneghino, Verga drammatizz\u00f2 la sua Cavalleria rusticana, la Serao si prepar\u00f2 alla Conquista di Roma, D\u2019Annunzio si lav\u00f2 il viso incrostato di sale nell\u2019acqua bionda-lustrale del Tevere. E con questa sanissima coscienza editoriale riusc\u00ec a fare la Bizantina, la rivista pi\u00f9 curiosa del mondo.\u201d (5)
\nDopo il fallimento di Sommaruga, costretto a fuggire all\u2019estero per i debiti accumulati, \u00abCronaca Bizantina\u00bb viene diretta dallo stesso D\u2019Annunzio dal novembre del 1885 fino al marzo del 1886, quando cessa di uscire. Si accentua in questa fase il gusto estetizzante della rivista che si allinea in modo marcato alle idee di Ruskin, curando ancor pi\u00f9 la veste grafica, il colore, le illustrazioni. In questi anni \u2018bizantini\u2019 D\u2019Annunzio sperimenta la collaborazione tra arte e poesia nel prezioso libro illustrato Isaotta Guttadauro<\/em> (1886), raccolta di poesie di gusto parnassiano e di memoria preraffaellita, ispirate alla letteratura del Duecento e del Trecento. La pubblicazione \u00e8 promossa dallo scrittore e critico d\u2019arte Angelo Conti e dalla sua cerchia, con cui D\u2019Annunzio entra in contatto attraverso l\u2019amico Giuseppe Cellini: l\u2019edizione del libro \u00e8 corredata da illustrazioni originali di Alfredo Ricci, Giuseppe Cellini, Aristide Sartorio, Vincenzo Cabianca, Mario De Maria, Enrico Coleman, Onorato Carlandi.<\/p>\n
La favola bella del Piacere<\/em><\/em>
\nSe a Ugo Ojetti l\u2019arte di Michetti appare come una sorta di magia, ad altri sembra esuberante, eccessiva, decorativa, gratuita; le sue scene di genere sono lette come bozzettismo paesano, le composizioni di pi\u00f9 ampio respiro, come Il voto, appaiono ad alcuni critici disorganiche e declamatorie: in realt\u00e0 sono i tratti innovativi della sua pittura, decisamente lontana dal linguaggio naturalistico in cui pure affondava le sue radici.
\n Nei primi racconti di Terra vergine<\/em> del giovane D\u2019Annunzio si ritrovano gli stessi procedimenti compositivi e stilistici michettiani, che denunciano il passaggio dal naturalismo al simbolismo e all\u2019estetismo: descrizione, amplificazione, simbolismo e allegorismo, che nel Piacere<\/em> si dilateranno diventando i fondamenti estetici del romanzo. Sono modi espressivi del tutto nuovi, che indicano la trasformazione radicale dello stile e del linguaggio, la dissoluzione dei canoni narrativi tradizionali fondati sulla coerenza dei personaggi, la compiutezza e la linearit\u00e0 dell\u2019intreccio. Come la pittura di Michetti, nella parabola che va dal Voto<\/em> alla Figlia di Jorio<\/em>, vira verso il simbolismo, cos\u00ec la scrittura dannunziana rinuncia all\u2019oggettivit\u00e0 verista per ridefinirsi in termini estetizzanti. Al termine dei cosiddetti anni \u2018bizantini\u2019, la \u201cfavola bella\u201d del Piacere<\/em> racconta il momento culminante di questa tendenza dando forma ed espressione al nuovo gusto liberty romano.
\nNella lettera a Francesco Paolo Michetti, che introduce al romanzo, lo scrittore rivolge all\u2019amico \u201cun saluto di rime sospiranti: All\u2019Ideale che non ha tramonti, \/ alla Bellezza che non sa dolori!.\u201d Roma \u00e8 il tema centrale del Piacere<\/em> e a Roma, come Ruskin a Venezia, D\u2019Annunzio viene preso dalla passione \u201cprofonda e rovinosa\u201d per l\u2019arte e la bellezza. Lo scrittore osserva e vive la citt\u00e0 intensamente, armato di taccuino di appunti per annotare ogni dettaglio dei monumenti d\u2019arte, della vita sociale, delle bellezze naturali, riutilizzando tutto a piene mani nel romanzo, che ha un enorme successo e diventa ben presto, insieme al suo autore, il riferimento centrale del gusto e delle tendenze di fine secolo. Nel Piacere<\/em> lo sguardo, educato nella palestra romana del Duca Minimo, di Vere de Vere, di Lila Biscuit, pseudonimi con cui lo scrittore si firma sulle pagine delle cronache mondane, sfida il pennello del pittore fermandosi sugli oggetti d\u2019arte, sulle vesti eleganti, sugli arredi e gli antichi dipinti dei nobili palazzi. Nella lettera a Michetti dichiara ancora: \u201c (…) a te che sei tanto acuto conoscitor di anime quanto grande artefice di pittura io debbo l\u2019esercizio e lo sviluppo della pi\u00f9 nobile tra le facolt\u00e0 dell\u2019intelletto: io debbo l\u2019abitudine dell\u2019osservazione (…)\u201d.
\nAll\u2019inizio del romanzo, Andrea Sperelli, novello Des Esseintes, osserva la citt\u00e0 dalla soglia di una finestra che lo separa dal mondo esterno: \u00e8 attorniato da oggetti raffinati, isolato dalla bruttezza della realt\u00e0, nel palazzetto che il pittore Federico Zuccari progett\u00f2 e costru\u00ec per s\u00e9 alla fine del Cinquecento. La storia del dandy, amante del bello e del piacere, \u00e8 la stessa di Gabriele D\u2019Annunzio, che fa dell\u2019arte una professione di vita e della vita un progetto estetico. Andrea Sperelli \u00e8 un clone di Gabriele D\u2019Annunzio, come Dorian Gray \u00e8 un doppio di Oscar Wilde, che porta alle estreme conseguenze lo stesso progetto di estetizzazione della vita in una drammatica parabola di autodistruzione. L\u2019elegante arabesco, la decorazione floreale, la sospensione del tempo e dello spazio, sono i tratti divaganti con cui D\u2019Annunzio racconta la citt\u00e0 d\u2019arte, nelle cui trame stili e linguaggi si rimescolano attraverso descrizioni, metafore, allegorie. I canoni della scuola verista, essenzialit\u00e0, oggettivit\u00e0 e impersonalit\u00e0, vengono sostituiti da una estenuata ricerca di bellezza: il personaggio vede, osserva, riflette, eccede nell\u2019analisi, non riesce ad agire perdendo consistenza; l\u2019intreccio diventa inessenziale e la storia si dipana in infinite digressioni senza chiudersi in un epilogo. Il Piacere<\/em> segna una fase importante nella crisi di trasformazione del genere romanzo secondo un gusto marcatamente liberty: palazzi, piazze, fontane, si accampano con tratti sinuosi sullo sfondo della storia, trasformando la citt\u00e0 in una \u201cselva immaginaria\u201d popolata da evanescenti apparizioni femminili, che ricordano quelle di Intermezzo di rime pubblicato da Sommaruga nel 1883. In \u2018Ricordo di Ripetta\u2019, per esempio, la donna \u00e8 una Beatrice preraffaellita che si staglia sottile e ondeggiante su sfondi fioriti: \u201calta e pieghevole\/ passaste, sorridente e luminante,\/ (…) Lunghi rami di mandorlo la fante\/ dietro di voi recava (…)un bellissimo sogno floreale\/ dietro di voi lasciaste al riguardante. Su da la strada chiara e solitaria\/ rompeano molti al cielo di turchese mandorli in fiore, per incantamento\u201d. In Chimera<\/em> (1890) i personaggi sono ridotti a sinuosa linearit\u00e0, il paesaggio urbano si delinea pittoricamente, fiorisce come un immenso giardino, si anima di vita naturale. Nel terzo rond\u00f2, alla luce della luna, tra giardini carichi di rose compare un\u2019immagine astratta di donna, \u201csorella della luna e delle rose\u201d: \u201c Come sorga la luna\/ da le cime selvose\/ e grave su le cose\/ sia l\u2019oblio della luna, \/ amica tu verrai\/ furtiva ne \u2018l verziere\u201d. Sulla piazza Barberini, nel sesto rond\u00f2, \u201cs\u2019apre il ciel, zaffiro schietto\u201d; in Romanza si disegnano, come in un cammeo, Trinit\u00e0 dei Monti e la piazza di Spagna: \u201cTutta a \u2018l sol, come un rosaio,\/ la gran piazza aulisce in fiore\u201d (…) \u201cl\u2019Obelisco pur fiorito\/ pare, quale un roseo stelo;\/ in sue vene di granito\/ ei giosce, a mezzo il cielo\u201d. Nelle pagine datate 1922 del Libro segreto D\u2019Annunzio ricorda con nostalgia le \u201cprimavere melodiose\u201d del decennio romano, quando indulgeva \u201calla fluida vena e alla rima sonante, alla romanza e al rond\u00f2\u201d.<\/p>\n
La Galleria Sciarra e il \u00abConvito\u00bb di Adolfo De Bosis: il dialogo tra artisti e letterati<\/em>
\nLa Galleria Sciarra, costruita in ferro e vetro, tra il 1886 e il 1887, dal principe Maffeo Barberini, uno dei protagonisti della febbre edificatoria di Roma capitale, racconta in modo emblematico il sogno d\u2019arte e bellezza della citt\u00e0. A Giuseppe Cellini viene affidata la decorazione, ideata dal letterato Giulio Salvadori come una celebrazione delle virt\u00f9 femminili.
\nSulle pareti della Galleria, in elegante stile liberty, sono dipinte, su fasce contrapposte, immagini di donne: la Pudica<\/em>, la Sobria<\/em>, la Forte<\/em>, l\u2019Umile<\/em>, la Prudente<\/em>, la Paziente<\/em> sono di fronte alla Benigna<\/em>, alla Signora<\/em>, all\u2019Amabile<\/em>, alla Fedele<\/em>, alla Misericordiosa<\/em>; in basso, nel registro inferiore, sono dipinte le scene della Cura del giardinaggio<\/em>, della Conversazione<\/em>, del Pranzo <\/em>domestico<\/em>, del Trattenimento musicale<\/em>, dell\u2019Esortazione alla carit\u00e0<\/em>; mentre sul lato opposto troviamo la Conversazione galante<\/em> (in cui compare lo stesso D\u2019Annunzio), la Toeletta<\/em>, il Matrimonio<\/em>, la Cura dei figli<\/em> commentata da versi di Virgilio.
\nLe lettere CCS, Carolina Colonna Sciarra, madre del principe e sintesi di ogni virt\u00f9, si leggono in uno scudo, mentre la sigla MS, Maffeo Sciarra, compare nello stemma sulla soglia d\u2019ingresso. Il principe mecenate ospita nel palazzo la redazione e la tipografia della \u00abTribuna\u00bb e della \u00abCronaca bizantina\u00bb negli anni in cui \u00e8 diretta da D\u2019Annunzio. La parabola dell\u2019aristocratico e illuminato collezionista, protettore delle arti, si consuma in breve tempo, come quella di Sommaruga: non riuscendo a sostenere le spese della sua ambiziosa impresa culturale e della sua spericolata speculazione immobiliare, il principe \u00e8 costretto a disperdere la collezione d\u2019arte cedendo l\u2019intero edificio alle banche creditrici.
\nLa realizzazione della Galleria Sciarra, a prescindere dalla sorte del principe, \u00e8 un esempio del fervido clima culturale romano in cui la collaborazione tra artisti e letterati \u00e8 pratica diffusa. Lo scrittore Diego Angeli, nelle Cronache del caff\u00e8 Greco <\/em>(1930), descrive la vita mondana e culturale della citt\u00e0 di quegli anni raccontando gli incontri degli artisti nello storico caff\u00e8. Il gruppo fa capo al letterato e critico d\u2019arte Angelo Conti, il quale, in linea con le poetiche decadenti e simboliste, pensa che l\u2019arte sia intuizione mistica, capace di rivelare l\u2019essenza ultima della realt\u00e0. Del cenacolo artistico e letterario del caff\u00e8 Greco fanno parte pittori e scrittori, come lo stesso D\u2019Annunzio e soprattutto Adolfo De Bosis, colto e benestante intellettuale, ideatore di una ricercata ed elegante rivista, da lui chiamata \u00abIl Convito\u00bb (1895-1907), di cui Diego Angeli \u00e8 caporedattore. Ed \u00e8 proprio la storia della raffinata rivista a chiudere emblematicamente il decennio romano \u2018bizantino\u2019 esasperandone le tendenze alessandrine e decadenti nella ricerca del bello assoluto.
\nNel \u00abConvito\u00bb, finanziato, diretto e in gran parte anche scritto dallo stesso De Bosis, si ritrova la stessa passione estetica e letteraria della \u00abCronaca bizantina\u00bb. Tra i collaboratori della rivista compaiono i nomi di Diego Angeli, Giosu\u00e8 Carducci, Enrico Nencioni, Edoardo Scarfoglio, Adolfo Venturi, oltre che di D\u2019Annunzio e di Pascoli. I fascicoli sono stampati su carta appositamente fabbricata e con le illustrazioni di Giuseppe Cellini, Giulio Aristide Sartorio, Francesco Paolo Michetti, Alessandro Morani, Lawrence Alma-Tadema, Enrico Coleman, i quali teorizzano che l’illustrazione \u00e8 la continuazione e l\u2019interpretazione della parola, cos\u00ec come la critica \u00e8 arte generata dall’arte e il critico “artifex additus artifici”. Ugo Ojetti descrive cos\u00ec l\u2019appartamento affrescato di Palazzo Borghese in cui ha sede la rivista: “Odor d’incenso o di sandalo, luce mitigata da tende o da cortine, sete e velluti alle pareti, cassepanche e tavole del rinascimento, divani profondi senza spalliere con venti cuscini, e in vecchie maioliche fiori dal lungo stelo, fasci di rami fioriti” (6)
\nNel proemio che apre, nel 1895, il primo numero della rivista, certamente scritto da D\u2019Annunzio anche se non firmato, riecheggiano le parole introduttive del Piacere<\/em> nel richiamo alla ricerca di un linguaggio comune a tutte le arti e soprattutto al culto della Bellezza come supremo ideale contro la barbarie: \u201cAlcuni artisti, scrittori e pittori, accomunati da uno stesso culto sincero e fervente per tutte le nobili forme dell\u2019Arte, si propongono di pubblicare ogni mese in Roma \u2013 dal gennaio al dicembre di quest\u2019anno- una loro raccolta di prose, di poesie e di disegni composta con insolita severit\u00e0 di scelta e stampata con quella eleganza semplice che aggiunge decoro alle belle immagini e ai chiari pensieri. (….) noi vogliamo sperare che questo nostro \u2018convito\u2019 possa raccogliere un vivo fascio di energie militanti le quali valgano a salvare qualche cosa bella e ideale dalla torbida onda di volgarit\u00e0 che ricopre ormai tutta la terra privilegiata dove Leonardo cre\u00f2 le sue donne imperiose e Michelangelo i suoi eroi indomabili.\u201d Lo stesso D’Annunzio pubblica sul \u00abConvito\u00bb Le Vergini delle rocce<\/em> e Giovanni Pascoli il poemetto Gog e Magog<\/em>. \u201cNon omnes arbusta iuvant\u201d, \u201cNon a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici\u201d, dichiara Pascoli nell\u2019epigrafe della raccolta dei Poemi conviviali<\/em> (1904), pubblicati in gran parte sulla rivista di De Bosis dietro sollecitazione di D\u2019Annunzio, chiamato da lui nella Prefazione, \u201cfratello minore e maggiore\u201d, \u201cgiovinetto, pieno di grazia e di gloria\u201d, che lo trae \u201cdall\u2019ombra e dal deserto e dal silenzio\u201d, per resistere alla \u201ctorbida onda di volgarit\u00e0\u201d nella fervente officina della Roma \u2018bizantina\u2019. Il richiamo \u00e8 alla IV Bucolica di Virgilio che Pascoli aveva gi\u00e0 citato, omettendo il \u201cnon\u201d, per introdurre le poesie dei Canti di Castelvecchio<\/em> (1903) di argomento umile e quotidiano.
\n I poemi \u2018conviviali\u2019 arretrano nello spazio senza tempo del mito, in una dimensione di sospensione della realt\u00e0, come in un fondo oro neoprimitivo, secondo il nuovo gusto liberty. Eleganza formale e dotte citazioni lasciano filtrare comunque un profondo smarrimento: Solon, Tiberio, Odisseo, Alexandros, sono maschere inquiete di un dolore che l\u2019arte pi\u00f9 squisita non riesce a colmare. Il personaggio del condottiero macedone esprime il disagio dell\u2019uomo moderno sopraffatto dal mistero impenetrabile della realt\u00e0: \u201cE cos\u00ec piange, poi che giunse anelo:\/ piange dall\u2019occhio nero come morte;\/ piange dall\u2019occhio azzurro come cielo.\/ Ch\u00e9 si fa sempre (tale \u00e8 la sua sorte)\/ nell\u2019occhio nero lo sperar, pi\u00f9 vano\/ nell\u2019occhio azzurro il desiar pi\u00f9 forte\u201d. Pascoli dedica ad Adolfo De Bosis i poemetti con le parole dei versi iniziali di Solon: \u201cTriste il convito senza canto, come\/tempio senza votivo oro di doni;\/ che questo \u00e8 bello: attendere al cantore\/ che nella voce ha l\u2019eco dell\u2019Ignoto\u201d: ed effettivamente De Bosis ama rappresentare i rituali del convito con gli scrittori e gli artisti suoi amici e collaboratori, invitandoli ad alzare la coppa ricolma per auspicare l\u2019avvento di un\u2019era segnata dalla rinascita della bellezza. Ancora il mito di Des Esseintes, dunque, e il suo sogno di fuga dalla volgare bruttezza del mondo esterno: \u201cdi fuori giungeva un mormorio basso di plebi avventate con le loro piccole brame verso ogni gioia pi\u00f9 misera o adagiate nel loro tedio, giungevano voci di piccoli uomini dall\u2019Urbe contaminata di bruttezza materiale e morale, giungevano echi di poesia mediocre, ultimi languori romantici, fatui trionfi di poetastri dell\u2019immondizia\u201d. (7)
\nIl \u00abConvito\u00bb, dopo i primi nove numeri, continua a uscire fino al 1907, scritta solamente da De Bosis, il quale, del resto, diversamente da D’Annunzio che lo chiama “principe del Silenzio”, non intende comunicare e promuovere le sue idee con manifesti e proclami, come sembra necessario nell\u2019et\u00e0 in cui lo stesso \u2018vate\u2019 pescarese pone le basi della cultura della comunicazione. Che l\u2019arte e la bellezza, secondo D\u2019Annunzio, debbano essere vissute in modo clamoroso e totalizzante risulta evidente dalle sue stesse scelte esistenziali, inseparabili dalla dimensione estetica. Giornalismo, letteratura, mondanit\u00e0, politica, guerra: il poeta teatralizza ogni sua attivit\u00e0, fino a progettare la realt\u00e0 alternativa del Vittoriale, dove si estrania e si isola. Nella residenza del Vittoriale l\u2019artista sostituisce l\u2019uomo, mentre la casa, trasformata in un libro interamente scritto e dipinto, sostituisce il mondo: il Des Esseintes di A r\u00e9bours<\/em> viene esplicitamente citato nell\u2019arredamento della sala da pranzo, dove campeggia una tartaruga dorata.
\nLe case museo in cui vivono Des Esseintes, Andrea Sperelli, Dorian Gray, il \u2018vero\u2019 D\u2019Annunzio, non sono altro che totali finzioni, fantasmagorici rifugi in cui l\u2019artista trova scampo a un mondo che vede orribilmente meccanizzato e mercificato: unico caso, per\u00f2, quello del Vittoriale di D\u2019Annunzio, in cui un mito letterario diventa realt\u00e0 trasformando la realt\u00e0 stessa in mito e rappresentazione estetica.<\/p>\n
(1) W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco<\/em> (1928), Einaudi, Torino, 1971, p.174 e pp.185-6. Nel suo unico libro compiuto Benjamin analizza il rapporto tra il dramma barocco tedesco e la tragedia greca antica concentrandosi sulle figure del simbolo e dell\u2019allegoria di cui analizza a fondo la funzione conoscitiva. In particolare nel secondo capitolo dell\u2019opera, il filosofo tedesco affronta i fondamenti estetici del procedimento allegorico che sposta l\u2019attenzione sulla carica espressiva e figurativa del segno linguistico liberandolo dal senso, trasformandolo in geroglifico, ideogramma, perch\u00e9 sconfini dal discorso alla pittura.
\n(2) W. Benjamin, Parigi, la capitale del XIX secolo<\/em>, in Angelus novus<\/em>, Einaudi, Torino 1962, p. 153-4. Nel saggio Benjamin, analizzando la societ\u00e0, l\u2019arte, la cultura della Parigi fin de si\u00e8cle, individua come un tratto saliente della modernit\u00e0 la dialettica tra tradizione e innovazione, tra arte e tecnica, tra soggettivit\u00e0 e oggettivit\u00e0: nel liberty coglie il tentativo di plasmare esteticamente i materiali pi\u00f9 inerti, come il cemento, il ferro, la ghisa, trasformandoli in segni espressivi dell\u2019interiorit\u00e0.
\n(3) Edoardo Scarfoglio, Il libro di Don Chisciotte<\/em>, Firenze 1911, pag.147
\nNel suo libro di memorie Scarfoglio registra le trasformazioni del giovane D\u2019Annunzio da quando arriva a Roma, \u201caffabile\u201d e \u201c modesto\u201d, sino a quando si trasforma in \u201cun selvaggio rincivilito\u201d, un \u201ccagnolino con un nastrino di seta al collo\u201d, incline alla \u201clode bugiarda\u201d e all\u201dadulazione\u201d sfacciata delle dame; ma ancora, nella nota introduttiva dell\u2019edizione del 1925, lo scrittore abruzzese, a proposito del suo conterraneo, non pu\u00f2 fare a meno di dire: \u201cGiudicatelo come volete, esaltatelo o condannatelo; voi non potrete disconvenire ch\u2019egli riempie della sua personalit\u00e0 esuberante tutto il mondo della poesia, del romanzo, del teatro, tutta, insomma, la leteratura moderna, dall\u2019Italia alla peniscola scandinava, da Parigi al Giappone\u201d.
\n(4) Ugo Ojetti, Artisti contemporanei: F.P.Michetti<\/em>, in \u201cEmporium\u201d, dicembre 1910.
\nUgo Ojetti, fondatore delle riviste \u00abDedalo\u00bb e \u00abPegaso\u00bb, giornalista, scrittore e critico d\u2019arte, fu attento osservatore dell\u2019arte e della cultura del suo tempo di cui lasci\u00f2 importanti testimonianze in interviste e articoli su quotidiani e riviste; in un celebre libro-reportage della sua prima giovinezza, Alla scoperta dei letterati<\/em> (1895), intervist\u00f2 Fogazzaro, Carducci, lo stesso D\u2019Annunzio per cogliere i tratti salienti della letteratura di fine secolo secondo una logica giornalistica allora inconsueta.
\n(5) S. Slataper, Quando Roma era Bisanzio<\/em>, \u00abLa Voce\u00bb anno III, n.16, 1911, in G. Stuparich (a cura di), Scritti letterari e critici<\/em>, Milano 1956. Slataper, guardando \u201ccon ammirazione ed invidia all\u2019epoca bizantina\u201d, coglie con qualche rimpianto il senso di una fase storica caratterizzata da momenti \u201cd\u2019arte, di passione, di libert\u00e0, di ricchezza, di spensieratezza\u201d. Sull\u2019esperienza di Roma \u201cbizantina\u201d si veda il classico A. Squarciapino, Roma bizantina<\/em>, Torino, Enaudi 1950
\n(6) Ugo Ojetti, Cose viste<\/em>, I,Firenze 1951, p. 53. Nella mole di articoli scritti sul \u00abCorriere della Sera\u00bb dal \u201921 al \u201843, tra terza pagina e prosa d\u2019arte, Ojetti tratta svariati temi che vanno dalla musica, all\u2019arte, alla letteratura, dando informazioni e testimonianze preziose sull\u2019arte e la letteratura dell\u2019epoca.
\n(7) Luigi Valli, Adolfo De Bosis, in \u201cNuova Antologia\u201d, n. 328, 1 dic. 1926, p 290-99.
\nClaudio Varese, nel saggio Adolfo De Bosis<\/em> (in \u00abRassegna della letteratura italiana\u00bb, a.69, gennaio aprile 1965), indaga ad ampio raggio sull\u2019attivit\u00e0 di traduttore e di poeta del singolare personaggio, che con la sua rivista consacra l\u2019estetismo e il culto del bello. Sui percorsi della letteratura liberty si \u00e8 concentrata l\u2019attenzione di un grande studioso della poesia italiana del Novecento come Edoardo Sanguineti, in particolare nel saggio intitolato Tra Liberty e Crepuscolarismo<\/em>, Milano, Mursia 1961.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
Si trova gi\u00e0 in libreria un bel volume di autori vari, Il Palazzo del Tritone a Roma, promosso da Sorgente Group, da Valter e Paola Mainetti, e pubblicato da De Luca. Vi propongo in lettura il mio breve saggio sulla letteratura liberty a Roma, scritto con l’intento di dimostrare quanto la letteratura sia un’arte anch’essa, […]<\/p>\n","protected":false},"author":2,"featured_media":0,"comment_status":"open","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[2,1158],"tags":[148,150,219,224,257,378],"class_list":["post-926","post","type-post","status-publish","format-standard","hentry","category-archivio-letterario","category-diari","tag-cronaca-bizantina","tag-dannunzio-e-la-cronaca-bizantina","tag-giuseppe-cellini-galleria-sciarra","tag-gli-anni-romani-di-dannunzio","tag-letteratura-liberty-a-roma","tag-roma-bizantina"],"_links":{"self":[{"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/posts\/926"}],"collection":[{"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/posts"}],"about":[{"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/types\/post"}],"author":[{"embeddable":true,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/users\/2"}],"replies":[{"embeddable":true,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=%2Fwp%2Fv2%2Fcomments&post=926"}],"version-history":[{"count":1,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/posts\/926\/revisions"}],"predecessor-version":[{"id":1136,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=\/wp\/v2\/posts\/926\/revisions\/1136"}],"wp:attachment":[{"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=%2Fwp%2Fv2%2Fmedia&parent=926"}],"wp:term":[{"taxonomy":"category","embeddable":true,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=%2Fwp%2Fv2%2Fcategories&post=926"},{"taxonomy":"post_tag","embeddable":true,"href":"https:\/\/www.annarosamattei.com\/index.php?rest_route=%2Fwp%2Fv2%2Ftags&post=926"}],"curies":[{"name":"wp","href":"https:\/\/api.w.org\/{rel}","templated":true}]}}