Di solito oggi – e già da molti anni a questa parte – da un romanzo ci si aspetta un racconto fine a se stesso, da consumare rapidamente e soprattutto da intendere alla lettera. Nulla sopra e sotto le righe, tutto il senso in superficie, lineare, chiaro ed evidente per tutti. Semplificazione, concisione, concretezza, realismo. Sembra darcene conferma simbolica la morte di Umberto Eco, maestro di scienze umanistiche, di semiologia in particolare, almeno negli anni in cui le teorie e i metodi della critica erano seguiti e coltivati con passione da studiosi, scrittori, docenti, semplici lettori. Già in Una ragazza che è stata mia madre (2005) e in L’archivio segreto (2010) avevo inteso raccontare la crisi della letteratura e dell’arte dell’interpretazione, ma, forse, con maggiore ostinazione ho cercato di farlo con Il sonno del Reame (novembre 2013), chiedendo al lettore di farsi interprete attivo di una fiaba allegorica sul nostro paese e il nostro tempo. Un paese immaginario, il ‘Reame’; un ‘principe’ e il suo esercito di operosi ‘obbedienti’; un popolo afflitto dal ‘sonno’ e dal potente virus dell’amnesia; un gatto filosofo, parente stretto dell’hoffmaniano gatto Murr, motore delle vicende e dell’intreccio; i fantasmi dell’arte e della poesia, Michelangelo, un antiquario, Guglielmo di Aquitania; un uomo e una donna, pessimisti combattenti, irriducibili all’obbedienza. Dante attribuiva alla scrittura letteraria ben quattro livelli di senso – letterale, allegorico, morale, anagogico – oggi il mercato mediatico la appiattisce con forza solo sul primo, riducendola a cronaca, omologandola a scrittura didascalica e giornalistica. Ecco dunque le ragioni dell’allegoria del ‘sonno’ in cui sprofonda l’immaginario ‘Reame’, governato da un principe ottuso e dai suoi cortigiani obbedienti, che insieme si danno un gran da fare per distruggere ogni forma di trasmissione della memoria e del sapere, per trasformarne le memorie d’arte e bellezza in attività commerciali e risorse finanziarie. Intreccio, personaggi, situazioni, eventi sono ispirati a quanto accade realmente nel nostro ex bel paese, abbandonato da troppi anni all’incuria e all’ignoranza di quanti, chiamati a occuparsi del suo immenso patrimonio culturale solo per ragioni di appartenenza politica, non sanno valorizzarlo ma solo distruggerlo. Nel ‘Reame’ immaginario l’arte e la bellezza restano lettera muta mano mano che il principe e i suoi cortigiani ne cancellano le tracce e i linguaggi, insieme ai quali sembra sparire velocemente anche l’identità di un popolo precipitato di giorno un giorno nell’oblio totale di sé. La storia comincia e finisce nella notte per la durata di ventiquattro ore ma il sonno a cui si abbandonano alla fine tutti i protagonisti lascia immaginare una possibile rigenerazione. Ma se provassimo tutti a essere disobbedienti e a svegliarci dal sonno profondo in cui siamo immersi? Se provassimo a leggere per davvero, come ci ha insegnato per anni Umberto Eco? A leggere in modo critico, a leggere solo i libri che ci invitano ad andare oltre la lettera? A leggere e rileggere i grandi classici antichi e moderni? A leggere allo stesso modo il mondo e la realtà in cui viviamo?
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