Miei cari venticinque lettori, ho saputo che qualcuno si è seccato dell’ironica cronistoria che ho scritto a commento della presentazione di Firenze del 19 giugno scorso… Ma via! Forse, per la presunta rivalità tra Roma e Firenze? Ma è solo un topos letterario di memoria dantesca. Un omaggio a Firenze, piuttosto, dato il mio sconfinato amore per Dante.Tra l’altro io non sono di Roma anche se la considero la mia città, l'”archivio segreto” di memorie e di personaggi intorno al quale ruotano le mie storie. Roma è anche lo sfondo dell’altro mio libro “Una ragazza che è stata mia madre”…
Quanto al confronto tra il gatto Gregorio e il più celebre topo Firmino, vi posso garantire che è, anche quello, scherzoso. Mi riesce difficile pensare a qualcuno che non ama i gatti. E poi credetemi: Gregorio non ne sa certo meno di Firmino, anche se non è una star come lui e il libro di cui anima le pagine non è un bestseller.
Difficile spiegare i fraintendimenti, se mai ce ne sono stati, né i conseguenti rumores di cui ho appena avvertito il brusio, come un’eco lontana. E pensare che, invece, amo molto le discussioni. Specialmente quando riguardano temi e questioni letterarie di cui sono appassionata indagatrice. Un dibattito sui generi letterari, sugli sconfinamenti dei linguaggi – della letteratura, dell’arte, del cinema, della musica, della scienza, ecc – sui diversi modi di interpretare la complessità dei nostri tempi, che non siano le semplici cronache di superficie, senza spessore e profondità, alle quali ci siamo tutti abituati. Una tavola rotonda sul significato delle strutture narrative, per esempio. Non solo in termini letterari ma anche antropologici e psicoanalitici. Su tutto questo e su altro ancora, sì che amerei discutere. Riporterò a breve su questo sito, nel cosiddetto Archivio, un saggio sul “punto di vista” che scrissi anni fa per esaminare uno dei meccanismi narrativi più difficili, che solo pochi scrittori sanno usare veramente. Maestro ne è stato Henry James, per intenderci, ma non solo.
La storia dell’Archivio segreto è impostata sulle divagazioni e le riflessioni di una donna che riscopre se stessa nel corso di una passeggiata nel centro storico di Roma. E, a proposito di generi letterari, non è una storia “magica”, non ci sono “amuleti” né ci sono maghetti dato che per mia sfortuna non mi chiamo Rowling. Il filone a cui mi ispiro è quello del metaromanzo, del romanzo morale, di formazione, fantastico (che non è certo il fantasy attuale), del romanzo di analisi: Sterne, Manzoni, Carroll, Svevo, Pirandello, Kafka, Borges, Calvino, Landolfi, ecc.
Quanto ai rapporti tra psicoanalisi e letteratura, ecco un altro tema interessante, se l’una non tendesse a sovrapporsi all’altra come accade talvolta con esiti sconcertanti. Campi diversi, anche se vicini, quelli della letteratura e della psicoanalisi. Il tema dei sogni, per esempio. Il discorso di Prospero nel IV atto della Tempesta (lo riporto a pag.222 dell’Archivio segreto per confrontarlo con il tempo del sogno degli aborigeni autraliani): “Siamo fatti di quella materia di cui sono fatti i sogni e la nostra breve vita è circondata da un sonno”.
Il passo conclusivo del sesto libro dell’Eneide. Dopo che Enea ha incontrato il padre Anchise tra le ombre dei morti e ha visto tutto quello che doveva vedere secondo il volere del fato, viene accompagnato all’uscita dal padre e dalla Sibilla:
“Sunt geminae Somni portae, quarum altera fertur/ cornea, qua veris facilis datur exitus umbris,/ altera candenti perfecta nitens elephanto,/ sed falsa ad caelum mittunt insomnia manes ./ His ibi tum natum Anchises unaque Sibyllam/ prosequitur dictis portaque emittit eburna,/ (…)”.
Vi siete mai chiesti perché mai Enea passi attraverso la porta dei sogni ingannevoli e non attraverso quella di corno, la porta dei sogni veritieri?
Vero o falso, allora, il viaggio di Enea? E tutte le profezie su Roma: vere o false? Non vi pare una conclusione analoga a quella di Svevo, quando nell’ultimo capitolo della Coscienza di Zeno, intitolato Psicoanalisi, Zeno Cosini si ribella alla cura psicoanalitica e scopre il piacere gratuito del raccontarsi immaginando e falsificando i propri ricordi?
“È così che a forza di correr dietro a quelle immagini, io le raggiunsi. Ora so di averle inventate. Ma inventare è una creazione, non già una menzogna.”
Un personaggio dell’Archivio segreto, l’artista Dorabella, discutendo sul vero e sul falso con la scettica giornalista Ludmilla, cerca di spiegarle come non sia questione così semplice separarli e distinguerli (pag.20):
“Tu non ti rendi conto che l’arte è un’altra cosa, che la realtà non puoi rappresentarla così come appare… che bisogna ricrearla per poterla avvicinare…Se vuoi disegnare e colorire una rosa come una rosa, quella rosa te la devi inventare… La tua stessa vita in realtà esiste solo se la racconti… e te la devi immaginare se la vuoi raccontare… per illuderti di coglerne un barlume di senso.”
E comunque Shakespeare non è Prospero, Enea non è Virgilio e Svevo non è Zeno. Né io stessa coincido con la protagonista della mia passeggiata romana o con quant’altro scrivo. Le valigie che mi porto dietro sono a metà piene di libri e a metà della mia vita riletta e rivissuta attraverso le vite e le parole degli altri.
Quanto ci sarebbe da discutere sulla vita come racconto e sulla letteratura come terapeutica menzogna…
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